La Consulta stavolta ha deciso. In passato aveva sempre rinviato e chiesto al Parlamento di modificare la legge sul carcere per i giornalisti colpevoli di diffamazione. Il 22 giugno, stufi di vedere che il legislatore non interveniva, i giudici della Suprema corte hanno detto basta. Anche se la spallata è parziale e qualcuno in prigione potrebbe finirci ancora, nei casi di maggiore gravità.

Al termine dell’udienza, in attesa del deposito della sentenza, una nota ufficiale ha annunciato: “La Corte, preso atto del mancato intervento del legislatore, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa, mentre ha ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo stampa o di altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa”.

il solco di strasburgo

«Una vittoria del sindacato dei giornalisti,” hanno commentato il segretario Fnsi Raffaele Lorusso e Claudio Silvestri dell’Associazione della Campania, che avevano sollevato l’eccezione di incostituzionalità al tribunale di Salerno. Carlo Verna, che in rappresentanza dell’Ordine nazionale aveva ottenuto di prendere parte all’udienza, ha invece affermato: “La Corte Costituzionale ha fatto la sua parte portando l’Italia nel solco della giurisprudenza di Strasburgo. Siamo soddisfatti, la svolta è storica perché l’incubo del carcere in via ordinaria svanisce, mentre l’ipotesi dell’eccezionale gravità è residuale e comincia in concreto a porre dei distinguo tra colpa e dolo che potranno essere meglio definiti”.

In sostanza, scomparso l’articolo 13 della legge sulla stampa (1948), la pena detentiva resta solo per i casi di eccezionale gravità. Quali, lo stabilirà il giudice, ma di solito sono ritenuti tali gli episodi nei quali il cronista non solo sbaglia e offende pubblicamente, ma esprime odio e usa toni violenti.

buchi nel sistema

Gli interventi della Corte Costituzionale sono stati in molti casi esitanti perché le decisioni di incostituzionalità “spesso lasciano buchi nel sistema normativo” hanno spiegato nei giorni scorsi Martino Liva e Giuliano Pisapia sul Corriere della Sera. Così è avvenuto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato per quattro volte l’Italia in casi nei quali ha rilevato sproporzione fra il comportamento e la pena comminata.

Incertezze dunque resteranno ancora, fino a quando l’intera materia non sarà rivista organicamente dal legislatore. Preoccupato è ancora il segretario nazionale della Fnsi, “per la semplice ragione – spiega Lorusso – “che in Parlamento esiste, da sempre, un fronte trasversale contrario a qualsiasi riforma che renda la stampa più libera”. Da anni il sindacato chiede invano: interventi che blocchino le querele bavaglio, che intimoriscono i cronisti e di fatto limitano la libertà di informare; misure che aiutino a sconfiggere il precariato e lo sfruttamento; oltre a quelle che riescano a consolidare l’Istituto di previdenza, che sostiene il sistema pensionistico e costituisce la prima garanzia per l’indipendenza della categoria.

Professione reporter

(nella foto, Corte Costituzionale, Sala delle udienze)

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