“Quando Papa Francesco ha incontrato noi del Dicastero della Comunicazione ci ha fatto una raccomandazione a proposito della comunicazione, che è un warning molto severo. Ci ha detto: ‘Mi raccomando, non ha niente a che fare con il marketing o con la pubblicità, il lavoro che fate'”.

Paolo Ruffini, palermitano, 65 anni, figlio di Attilio Ruffini, esponente della Dc, più volte ministro, nipote del cardinale Ernesto Ruffini. Ha alle spalle una carriera prestigiosa da giornalista: notista politico al Mattino e al Messaggero, direttore del Giornale Radio Rai, direttore Rai 3, direttore La7. 

giacca e cravatta

Governa un impero: sala stampa vaticana, Osservatore Romano, Radio vaticana (in 41 lingue), sito internet, centro produzione televisiva, casa editrice, tipografia, servizio fotografico. E le relazioni, per quanto riguarda la comunicazione, con Conferenze episcopali e chiese locali. Prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. Governa in giacca e cravatta, unico prefetto non cardinale, non religioso. La sera di sabato 26 marzo ha dato una lunga intervista a Tv 2000, nel programma Soul, condotto da Monica Mondo.

C’è una strategia della comunicazione della Chiesa?, chiede Mondo. “Se intendiamo tutto quello che la scienza della comunicazione insegna in termini di pubblicità, marketing, vendita di un prodotto, di un’immagine, di proselitismo no -risponde Ruffini- Se noi, invece, pensiamo che ci curiamo di tutti nel mondo, che è possibile costruire un’unità nella diversità, che è possibile testimoniare qualcosa di diverso dalla profilazione delle persone solo in base alla capacità di consumo e di compravendita, quella è la strategia”.

Ruffini dice che la Chiesa “ha il dovere di parlare il linguaggio del momento”, che ognuno ha il dovere di essere nel tempo e di fare in modo che quel tempo abbia anche il suo contributo per essere migliore: “Non dobbiamo rincorrerlo, nel senso di adottare tutti i criteri di quel tempo come se fossero quelli giusti. Testimoniare qualcosa che possa cambiarlo, senza fermarci. Non dobbiamo arrenderci”. Quindi, sui social: “Dovremmo insegnare, forse anche nel catechismo ai bambini, che condividere una cosa falsa o cattiva è sbagliato”. E più avanti: si comunica male quando si comunica “una non verità, un’ipocrisia, una cosa costruita a tavolino”.

ascoltare, vedere

Cosa significa dunque comunicare? “Entrare in relazione. Ascoltare, vedere e anche essere visti e ascoltati. Se non c’è una relazione, non c’è comunicazione. Penso che la notizia che si racconta attraverso i mezzi di comunicazione, che sono tanti, nasca da questa relazione. L’unica verità esclusiva che possiamo difendere, a proposito del discorso sulle esclusive dei giornalisti, sugli scoop, è quella della relazione esclusiva con una persona”.

Sulla dittatura dello share televisivo: “Ho sempre contestato il teorema che le cose di qualità non debbano fare ascolti. Cosa vuoi dire to share? Condividere”.

Perché Ruffini ha scelto di fare il giornalista? “Potrei dire che ho il carattere opposto alla maggior parte dei giornalisti, perché sono una persona timida. Però mi piace osservare, capire le persone”. 

(nella foto, Papa Francesco con Paolo Ruffini)

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