Disfida dei pasti al Corriere della Sera. 

L’azienda di proprietà di Urbano Cairo decide di abbassare la cifra che i giornalisti possono spendere in trasferta per pranzi o cene. Il Comitato di redazione protesta. L’azienda non risponde. Un inviato storico spiega le situazioni a cui si potrebbe andare incontro. Fino ad alcuni anni fa il limite non esisteva, la regola era data dal buon senso e sicuramente pasti superiori ai 50 euro avrebbero dovuto essere motivati da particolari esigenze di servizio, come ad esempio necessità di andare in un determinato ristorante per incontrare una fonte. Anni ancora più addietro sicuramente le grandi firme del Corriere potevano permettersi agi che sono andati via via calando, in parallelo con le crisi dei bilanci.

Che accade? L’azienda fa sapere a un giornalista inviato su un servizio che il massimale per i pasti in Italia o all’estero passa da 50 a 35 euro. Il giornalista informa il Cdr. Il 25 febbraio il Cdr scrive una lettera al responsabile Risorse Umane della Rcs e al direttore del Corriere Luciano Fontana: “Gentile dottor Ribaudo, caro Direttore…”.

proposta irricevibile

I rappresentanti sindacali della redazione invitano l’azienda a riconsiderare al più presto la decisione di abbassare “unilateralmente” il massimale di spesa per i pasti in trasferta. “Quando avete avanzato questa proposta -ricordano al dottor Ribaudo- il Cdr l’ha rigettata, giudicandola irricevibile. Nonostante ciò avete deciso di andare avanti comunque e addirittura di applicarla retroattivamente e senza darne alcuna comunicazione né al Cdr, né alla redazione. Come lei sicuramente sa, quando si deve affrontare una trasferta in grandi città o all’estero con 35 euro si fa veramente fatica a non rimetterci di tasca propria. Un massimale di 50 euro ci sembra congruo e rispettoso del nostro lavoro. Tranne che non si voglia cambiare alla radice la policy e concordare, come avevamo proposto, una diaria giornaliera”.

Il Cdr afferma che tagliare 15 euro “finisce solo per avvilire chi in trasferta spesso riesce a mangiare, se va bene, una sola volta nell’arco della giornata. Dovendo per il resto pensare a lavorare, perché le trasferte sono giornate piene di lavoro, non giorni di vacanza”.

Infine: “Riteniamo che anche il direttore sia d’accordo con noi e gli chiediamo di intervenire e far sentire al più presto la sua voce con l’editore”.

nessuna risposta

Quattro giorni più tardi il cdr ha inviato la lettera a tutta la redazione, specificando: “Al momento non abbiamo avuto alcuna risposta”. Né dall’editore. Né dal direttore.

Il primo a reagire è stato Lorenzo Cremonesi, l’inviato del Corriere che negli ultimi anni ha visitato per lavoro gran parte dei luoghi più pericolosi della Terra: Iraq, Libia, Afghanistan, Libano, Pakistan. Nel 2005 fu rapito per alcune ore a Gaza dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa di Al Fatah.

“Scusate -ha chiesto Cremonesi in una mail al Cdr e a tutti i colleghi- ma se uno mangia panini per 5 giorni e dorme nelle tende con le milizie senza spendere una lira e poi offre pranzo per 250 dollari al capo milizia e i suoi collaboratori, allora come si conteggia? Può cumulare hotel e pranzi e cene non utilizzati? E poi viene penalizzato per i 250 dollari? E chi invita a cena un ambasciatore che gli accorcia le procedure del visto o lo scrittore per un intervista?”.

Conclusione di Cremonesi: “Chi fa queste tabelle non sa cosa voglia dire fare il giornalista!”.

Professione Reporter

(nella foto, Lorenzo Cremonesi)

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