(S.E.C.) L’ultimo, pubblicato sul sito del Dipartimento della Protezione Civile, è dello scorso 22 gennaio. Parliamo dei verbali del Cts, il comitato tecnico scientifico istituito il 5 febbraio 2020 con decreto dell’allora capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, come organo consultivo e di supporto nelle attività di contrasto al nuovo Coronavirus.

La storia di questi verbali è travagliata. Sullo sfondo, la battaglia per renderli pubblici. Sul sito della Protezione Civile vengono pubblicati 45 giorni dopo ogni incontro del Cts, pur mancando, a seconda, di allegati e documenti sottoposti alla valutazione del Cts, un’omissione che si fa scudo dell’art. 5 bis del decreto legislativo 33/2013, nonché della circolare FOIA 1/2019 del ministero della Funzione Pubblica. 

dati oscurati

Il decreto 33/2013 è quello sul riordino della disciplina in materia di diritto di accesso civico e obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, con l’art. 5 bis che prevede il diniego, per proteggere interessi pubblici o personali, davanti a una richiesta di accesso a dati e documenti. La circolare riguarda, invece, le norme sull’accesso civico generalizzato. Una circolare rispolverata, in ottica di limitazione, pensando al grande numero di controinteressati, in buona sostanza quei soggetti, secondo la definizione che ne dà la circolare, che potrebbero “subire un pregiudizio concreto agli interessi privati”. 

Nei verbali del Cts, a loro volta, sono stati oscurati dati identificativi di soggetti privati, anche societari, e dei loro prodotti sanitari.

La gestione della situazione epidemiologica dovuta al nuovo Coronavirus, giudicata insoddisfacente sul piano dei risultati, lo è stata anche su quello della comunicazione e della trasparenza: dalle quotidiane conferenze stampa dalla sede della Protezione Civile, percepite dai cittadini come un macabro rito, alla confusione e agli incespicamenti di esperti, comitati, consiglieri, fino ai verbali del Cts a lungo secretati. Con il giornalismo spesso in difficoltà.

 Allarmismo e spettacolo

Dopo un anno com’è cambiato il rapporto del giornalismo con la realtà segnata dal virus? Ancora imperanti sono allarmismo e spettacolarizzazione. Così come ancora imperante è talora l’incapacità del giornalismo di sottrarsi alla propaganda di palazzo: ultimo esempio in ordine di tempo la conferenza stampa in pieno inverno nel cortile di Palazzo Chigi, con tanto di tavolo con drappo blu e bandiere per illustrare il nuovo Dpcm, presenti i ministri Mariastella Gelmini e Roberto Speranza, nonché Franco Locatelli e Silvio Brusaferro, rispettivamente a capo del Consiglio Superiore di Sanità e dell’Istituto Superiore di Sanità, nonché membri del Cts. 

Dopo un anno, gran parte del giornalismo italiano viene vissuto con sempre più sofferenza dai cittadini, accusato di proteggere le manchevolezze del palazzo più che informare. È il giornalismo che ha cullato il mito del modello italiano nella lotta al virus, un modello che non c’era, o che ha celebrato i gazebo a primula per la vaccinazione.

C’era, invece, una domanda cui il giornalismo avrebbe dovuto rispondere e, cioè, cosa non ha funzionato? Segnaliamo allora un articolo dal titolo “Examining the role of the Italian COVID-19 scientific committee”, pubblicato lo scorso 17 febbraio su Nature. L’articolo, uno sguardo sul ruolo del Cts italiano, è di Sergio Pistoi, giornalista scientifico, consulente in ambito biomedico, una laurea in Scienze Biologiche a Torino e un dottorato in Biologia molecolare a Parigi. 

figure mancanti

Con molta semplicità l’articolo ricorda che l’organo consultivo del governo italiano è sin dalla sua costituzione privo di figure che avrebbero potuto, invece, fare la differenza. Ci sono, infatti, ricorda Pistoi, esperti di pneumologia, malattie infettive, gerontologia, epidemiologia, ma non di diagnostica molecolare, virologia molecolare, high-throughput screening, a differenza di quanto accade a Londra, Parigi, Berlino: “In Gran Bretagna, il Scientific Advisory Group for Emergencies (Sage) e le sue sottocommissioni hanno un ampio spettro di competenze e includono specialisti in diagnostica molecolare, high-throughput screening, sequenziamento, creazione di modelli, logistica, scienza del comportamento e istruzione. Il gruppo di consulenza del governo francese include uno specialista in tecnologie digitali e antropologi e sociologi, assieme alle competenze di base in virologia, epidemiologia e biologia molecolare. E l’Accademia Leopoldina, uno dei consulenti principali del Governo tedesco, ha diversi gruppi di lavoro che possono attingere a una lista di 1600 membri internazionali di qualsiasi disciplina”.

Dubbi riguardano, inoltre, il criterio di scelta dei suoi componenti: “Meno della metà dei suoi membri attuali sono nominati sulla base del curriculum; gli altri sono direttori di istituzioni sanitarie, nominati nel Cts ex officio. Soltanto due membri hanno una comprovata esperienza in biotecnologia, ma in campi non legati alle malattie infettive”. 

pedagogia e psicologia

L’articolo ricorda anche che se nei tre paesi prima citati i relativi comitati sono chiamati a “indicare strategie di alto livello e linee guida”, il Cts italiano, viceversa, si è trovato molto spesso a discutere di dettagli normalmente di competenza di sottocommissioni o altri organismi. L’articolo fa l’esempio degli infiniti dibattiti su guanti e mascherine, sul concetto di monodose nelle mense scolastiche, sui cori delle chiese. Senza dimenticare gli interventi formulati pur in assenza o con scarsa competenza in materia: “A gennaio ha affermato che proseguire con l’insegnamento a distanza avrebbe causato negli studenti un grave impatto sul [loro] apprendimento, la loro psicologia e la loro personalità. L’affermazione ha avuto conseguenze sulle politiche nazionali, ma nessun membro del Cts ha esperienza in campo pedagogico, in psicologia dell’infanzia o in neuropsichiatria”.

Ne è la prova, osserviamo, la maionese impazzita, con il giornalismo di riflesso nel vortice, di proclami sulla scuola che si smentiscono gli uni con gli altri, a distanza anche di un giorno, toccando alte vette con quello che voleva la chiusura delle scuole ogni sette giorni. Cos’è, allora, che non ha funzionato e che continua a non funzionare nella gestione di questa ormai lunga crisi sanitaria trasformatasi anche in crisi economica e sociale? E forse una risposta l’ha data Nature. 

LASCIA UN COMMENTO