di GOFFREDO DE MARCHIS

Abbiamo molto amato Michele Fusco e Michele ha amato noi. La sua scomparsa ci pone una serie di problemi. Non quello dei ricordi che per fortuna rimangono e giustificano il termine indimenticabile. Ma c’è qualcosa di più profondo. E’ il venir meno dei racconti di Michele e ancor di più della possibilità, del desiderio, a volte della massima urgenza di raccontare a lui delle cose. 

Per la comunità degli amici, tanti, diversi, Milano e Roma, vecchi e nuovi, giovani o coetanei, Michele diventa quindi non tanto indimenticabile – perché la memoria la possiamo coltivare – ma insostituibile. Sì, insostituibile. Questo è un problema grande come una casa.

veri aficionados 

Ci lascia tanto soprattutto perché Michele era una persona, un essere umano molto generoso. Poi c’è il suo lavoro. Al giornalismo mancherà. E’ stato prima un cronista appassionato e coraggioso, poi un direttore libero, un commentatore perfetto, svincolato da ogni pregiudizio e ideologia, il conduttore di Prima Pagina su Radiotre tra i più ascoltati, con veri e propri aficionados. Del giornalista aveva tutti i tratti fondamentali, sviluppati e affinati nella formidabile redazione sportiva del Giorno: anarchica, libera e popolata di campioni. Aveva il gusto della notizia, del titolo, della foto giusta, della bella scrittura, dello stile, del punto di vista laterale e diverso. Era curioso di tutto, la prima regola del buon giornalista. E’ stato, lo sapete, un implacabile abbordatore di chiunque: politici, sportivi, artisti, vip e gente comune. Ad ogni incontro lasciava il segno e si faceva segnare. 

Amava la compagnia, la vita, e ridere, ridere. Amava Eugenia e Giovanni, sua moglie e suo figlio. Eugenia, Giovanni: Michele ha seminato bene perciò il raccolto sarà fruttuoso. La sua risata è indimenticabile: il corpo buttato all’indietro di scatto e le mani sulla pancia. 

ristoranti chiusi

Michele, David Sassoli, Bruno Ruggiero e io abbiamo fatto insieme delle folli fughe da Roma all’ora di pranzo: a Sutri, in Umbria, in campagna. Abbiamo bussato a ristoranti chiusi per riposo settimanale. Michele mandava avanti il mezzobusto, il più famoso di noi. Le porte e la cucina si aprivano. E abbiamo riso fino alle lacrime, senza pensieri. Momenti di pura felicità. Bambini cresciuti che giocano con le parole al posto di un pallone. La risata di Michele non è mai cambiata. 

 Al giornalismo, dicevo, mancherà anche lo strenuo difensore della sua funzione. Della sua imprescindibilità. Michele aveva visto da tempo avvicinarsi l’iceberg di fronte alla barca del nostro mestiere. Ma non si arrendeva. C’è stato il periodo di interesse per la Verità, Libero, Il Fatto, dei giornali online (dove ha scritto fino all’ultimo per Gli Stati Generali), oltre agli irrinunciabili Corriere, Repubblica e Gazzetta. Continuava a cercare una luce. Bastava una notiziola, una chiave di lettura giusta, una firma giovane che si intuiva colta e appassionata, il commento controcorrente per convincerlo che la rotta si poteva ancora invertire. Per questi motivi ora si spalanca un vuoto e vale per tutti. 

Sarebbe stato l’ultimissimo ad abbandonare la nave, a tuffarsi nel mare aperto dove io spero incontri il Signore per farsi quattro chiacchiere.      

 (nella foto, Michele Fusco con Gianni Rivera, in uno dei suoi “abbordaggi”) 

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