Cesso, puttana, stronza, schifosa, isterica, zoccola, sfigata, culona, vacca, più tettologa che tuttologa, sei una valletta con pretese da giornalista. 

Alcuni degli epiteti dedicati alle giornaliste, così come emergono da un’indagine effettuata da GiULiA-giornaliste su Twitter e Facebook, in collaborazione con Vox-Osservatorio sui diritti, che ha presentato la Quinta mappa dell’intolleranza.  La ricerca ha preso in esame i profili twitter di 18 giornalisti e 20 giornaliste, da novembre 2019 a settembre 2020. Su 793.302 menzioni, quelle con un sentimento negativo sono 456.222, il 57,51 per cento. Millecinquecento novantatré sono le menzioni con contenuto misogino. 

Il linguaggio d’odio può servire da freno all’informazione, una sorta di censura per il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti. Per le donne, c’è l’aggravante della volgarità e della violenza (con un richiamo ripetuto ad atti sessuali e allo stupro). In particolare quando le giornaliste sono impegnate in inchieste su migranti o Islam, su malavita organizzata o mafie. “Come se -ha scritto Paola Rizzi su Globalist– l’essere donne a scrivere su temi socialmente sensibili fosse inaccettabile per gli odiatori da tastiera”.

interrompere il lavoro

Queste aggressioni social possono portare a interrompere il lavoro e a cambiare settore (non tanto per loro volontà, ma per l’intervento delle aziende editrici che temono conseguenze). O ad abbandonare Facebook o Twitter.

Da questa preoccupazione è nata la collaborazione di GiULiA-giornaliste con Vox-Osservatorio sui diritti: “Tramite un monitoraggio a campione su twitter realizzato dall’Università di Bari e su Facebook da un gruppo di volontari -spiega Rizzi- abbiamo cercato di verificare due aspetti: da un lato se e come sui social si manifesta la misoginia nei confronti delle giornaliste, dall’altro come i profili di professionisti dell’informazione possono contribuire o meno, anche involontariamente, a creare un ecosistema favorevole per il discorso misogino in generale. La risposta, come i dati dimostrano è in entrambi i casi positiva”.

Sono stati analizzati diversi profili di giornalisti e giornaliste, scelti tra i più attivi sui social, oppure particolarmente esposti, come le giornaliste impegnate in settori come la politica, la criminalità organizzata o l’immigrazione. “La differenza  sostanziale è che i maschi vengono di solito attaccati per quello che dicono, mentre alle donne succede di essere attaccate in una misura eccessiva per quello che sono, per lo specifico di genere. Gli strumenti di aggressione messi in atto sono i consueti: bodyshaming, minacce di stupro e oscenità. Oppure, si sminuiscono le competenze professionali, con varie versioni della formula intimidatoria: ‘Torna a fare la calza’, torna nello spazio che il suo sesso ti ha destinato, la cucina. Un elemento, questo del discredito della professionalità delle donne, riscontrato a livello generale anche nella mappa di Vox Diritti”.

forza del contraddittorio

Emerge un altro dato: quando i commenti vengono lasciati aperti, senza replica, sembra di assistere ad un gioco al rialzo, con attacchi sempre più feroci, sganciati dai fatti. L’aggressione sessista diventa fine a se stessa, così come le altre forme di hate speech. Quando invece intervengono risposte, si crea contradditorio, vengono eliminati commenti sull’aspetto fisico e volgarità. La spirale dell’odio si ritrae. 

“Il tema della moderazione -concude Rizzi- è quindi una questione cruciale e aperta. Quello dei social network è ormai una porzione importante di spazio pubblico che deve essere presidiata, che non può essere abbandonata da chi di mestiere fa informazione. Una scelta radicale per esempio ha deciso di fare la direttrice del Giornale di Brescia, Nunzia Vallini, decidendo di congelare la pagina Facebook del giornale. Ma probabilmente non basta il conforto di un algoritmo. E’ necessario da un lato un’educazione all’uso delle reti sociali, una carta di utilizzo dei social a cui giornali e giornalisti debbano attenersi e dall’altro la promozione di strumenti di difesa che non siano lasciati all’iniziativa individuale”.

(nella foto, giornaliste di GiULiA)

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