Cosa rappresenta lo smart working per il giornalismo: un’opportunità da non perdere, un rischio mortale, uno strumento per migliorare la vita e la qualità del prodotto?

Sono le domande che la Fondazione Murialdi ha posto ai dirigenti della categoria e ad alcuni docenti universitari, a Roma, durante un seminario organizzato nella sede della Federazione della stampa e trasmesso in diretta da Radio Radicale, giovedì 17 settembre.

I lavori, organizzati dal Segretario della Fondazione Giancarlo Tartaglia e coordinati dal presidente, Vittorio Roidi, si sono aperti con un intervento videoregistrato del direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. “Siamo all’interno di un nuovo scenario – ha detto Molinari – e dobbiamo riorganizzare il lavoro con modalità che ci consentiranno tra l’altro di migliorare e massimizzare le capacità di ciascuno. Adattare le regole, in un‘epoca in cui finalmente il governo del Paese riconosce il ruolo strategico del giornalismo”.

Secondo il sociologo Mario Morcellini “L’immagine del giornalismo è uscita bene dalla crisi sanitaria, ma ora occorre adeguarsi, in base all’accelerazione che gli avvenimenti impongono. Dovremo costruire risposte alla crisi del Covid e alla crisi del giornalismo e collettivamente definire le priorità per la rinascita dell’informazione”. Morcellini, commissario uscente dell’Agcom, ha anche esortato il mondo dell’università a reagire alla rivoluzione tecnologica in atto, per formare e tutelare i soggetti più colpiti dalla crisi conseguente all’emergenza. “E’ una sfida da affrontare con concretezza, stimolando la politica,così l’informazione rinascerà”.

Il professor Massimo Pallini, docente di Diritto del lavoro alla Statale di Milano, ha affrontato alcuni aspetti normativi. “Lo smart working è solo la punta evidente di un iceberg, di una rivoluzione iniziata da oltre 10 anni e che riguarda tutti i rapporti di lavoro”. I contratti e le leggi già prevedevano un lavoro smart. Ora – a suo dire – non bisogna affrontare la nuova situazione come “un problema di retroguardia”, pensando solo a normare il lavoro agile; occorre “progettare un modello nuovo di lavoro e di società”. Secondo il professor Pallini, ciascun giornalista può sottoscrivere un accordo, che dopo tre anni può essere rivisto, con modalità individuali ma temporali.
Marino Bonaiuto, docente di Psicologia del lavoro alla Sapienza, ha spiegato che dobbiamo affrontare il tema da un diverso punto di vista .”E’ dimostrato che si può creare un ottimo prodotto anche senza essere seduti intorno a un tavolo. Però è necessario valutare con attenzione l’effetto che questa rivoluzione produttiva può avere sugli aspetti affettivi e psicologici. Ci sono possibili ripercussioni, in particolare, sui lavoratori più giovani e con meno esperienza. Chi fornirà al giovane riferimenti per trovare un’identità, professionale, se non il gruppo, la redazione a cui appartiene?”. Il professor Bonaiuto ha spiegato che esisterà comunque il rischio di una più facile discriminazione fra il trattamento riservato ad una persona e quello di un’altra.

Una critica all’intervento di Molinari è venuta da Daniele Cerrato, giornalista televisivo e presidente della Casagit. “Io ho visto in giro più smart che working – ha detto Cerrato – molta velocità e poca qualità. Il giornalista singolo sarà più debole, magari preda di un editore che cerca solo di tagliare l’organico. Il fascino del nuovo – detto Cerrato – può mettere all’angolo ciò che c’era di buono nelle cose vecchie”.

Marina Macelloni,, presidente dell’Inpgi e giornalista economoica (Sole 24 Ore), ricordate le difficoltà dell’Istituto, ha sottolineato che da tempo è in corso una migrazione da lavoro a tempo indeterminato a lavoro autonomo. “Ora tutto si è accelerato anche se non sono stati smontati i contratti, ma dopo cosa succederà?”. La presidente Macelloni ha ricordato che tutti gli istituti privati di previdenza hanno un patrimonio costruito sulle proprietà immobiliari. “A me già risulta che qualche editore stia vendendo i suoi palazzi. Che fine faranno i bilanci degli industriali: non hanno più bisogno di quegli edifici?”.

Anche a Mimma Caligaris, esponente della Commissione Pari Opportunità della Fnsi, non è piaciuta un’affermazione di Molinari: che giudizio può dare un direttore che di un collega leggerà solo il suo pezzo da casa e non potrà valutare il lavoro svolto in redazione? Al di là delle modalità di lavoro, che certo possono essere migliorate, c’è il rischio di un passo indietro, di tornare ai tempi in cui un direttore faceva l’elenco dei buoni e dei cattivi. E si finiva per essere emarginati, anziché capiti e aiutati”. La Commissione Pari Opportunità, ha raccontato Caligaris, sta elaborando i dati di un questionario. Sono 350 i colleghi ascoltati, il 96 per cento dei quali è stato coinvolto dallo smart working. Molti dicono di averne avuto benefici, e di essere disponibili a proseguire, anche se ammettono che il cambio di modalità è stato stabilito dall’azienda, non concordato e non regolato.

Il segretario della Federazione della stampa Raffaele Lorusso si è detto meravigliato. Ha ricordato che tanti giornalisti, sempre hanno lavorato in condizioni smart. “Montanelli ed Hemingway non erano forse smart, come i tanti inviati che già operano stando fuori dalle redazioni. Oggi la sfida non è sì o no, ma smart working come? Se lo stanno chiedendo l’Unione europea, che ha annunciato una direttiva ad hoc per il 2021, il Parlamento italiano, la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che ha già convocato le parti sociali per un primo confronto. Per quel che riguarda lo specifico della nostra professione – ha proseguito Lorusso – in ogni sede va riaffermato il ruolo centrale della contrattazione collettiva, sia aziendale che nazionale”.
Ci sono aspetti positivi e negativi nella nuova modalità usata durante l’emergenza, c’è un modo nuovo di lavorare, un modello da costruire, ha spiegato il segretario della Fnsi, valutando e bilanciando con attenzione i rischi e le opportunità, “senza lasciarsi affascinare dalla promessa della comodità di ‘lavorare in pantofole’, che non si addice al lavoro giornalistico. Inoltre bisogna evitare che il lavoro agile diventi un ghetto per i lavoratori più deboli e per le donne in particolare. Che diventi occasione – ha specificato – per creare nuove disuguaglianze. E dobbiamo fare attenzione che non venga meno la dimensione stessa della professione: il confronto fra i giornalisti. Da questo punto di vista è essenziale preservare il giornale come opera collettiva, fatto di relazioni e di confronto. Dobbiamo confrontarci con le novità già in atto per governare la trasformazione e cogliere le occasioni che arrivano dallo sviluppo tecnologico per ridare autorevolezza e qualità all’informazione”, ha concluso Raffaele Lorusso.

 A conclusione del dibattito, il presidente della Fondazione Murialdi, Roidi, ha annunciato la volontà di proseguire lo studio del problema ed ha offerto ai quattro enti della categoria (il presidente dell’Ordine Carlo,Verna, non aveva partecipato al seminario) il proprio tavolo di lavoro (“Concreto, a quattro zampe, non smart”), per ogni possibile riunione successiva.

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