“I giornalisti che vogliono lavorare e che amano il loro lavoro quando si trovano a operare in un ambiente tradizionale come la loro casa producono di più. E producono in quantità e in qualità che sorprende loro stessi. Non so perché questo avvenga, quali dinamiche vengano messe in moto, ma è così. Può funzionare anche al contrario: persone che si sentono disaffezionate, slegate dal loro lavoro, lo smart working le fa scomparire “. Parola di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, in un video al recente convegno della Fondazione Murialdi sul lavoro dalle proprie abitazioni.

Secondo Molinari “lo smart working fa chiarezza, consente di migliorare e ottimizzare le risorse che tu hai. Quelle che funzionano meglio funzionano di più, quelle che non funzionano diventa chiaro che per qualche motivo hanno dei problemi che noi dobbiamo affrontare”. Aggiunge che quando il segretario Cgil, Maurizio Landini, manifesta la necessità di avere dei contratti sullo smart working vada preso molto sul serio: “La possibilità di normare questa novità ha a che vedere con la rivoluzionaria trasformazione della professione giornalistica, da lavoro tradizionale a lavoro dove le tecnologie sono protagoniste. Affrontare la sfida dello smart può essere una maniera per iniziare a normare la rivoluzione digitale”.

Molinari ha mostrato di avere una visione molto positiva dello smart working, introdotto nelle redazioni a seguito dell’emergenza Covid: “Questa modalità di lavoro apre nuove opportunità: lavorare da casa, maggiore flessibilità, possibilità di offrire a redattrici e redattori un’organizzazione di lavoro più confacente alla loro vita privata o pubblica o professionale”. Lo smart working, secondo Molinari, è un’esperienza che consente di valorizzare molto le qualità e le professionalità dei giornalisti”. E le non professionalità, come ha spiegato.

(nella foto, Maurizio Molinari)

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