(P.F.) A Trani nel settecentesco Palazzo Lodispoto dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie-Nazareth in piazza Duomo, dove sorge la splendida Cattedrale cittadina, c’è un Museo che non t’aspetti, su due piani. Vi sono esposte 450 macchine da scrivere, provenienti da tutto il mondo, che racchiudono quasi 150 anni di storia dei sistemi di scrittura meccanica. La vasta collezione di modelli ne testimonia l’evoluzione: dalle macchine a battitura cieca a quelle con scrittura visibile, dalla prima portatile, alla prima elettrica a quella elettronica. Le sale espositive sono state aperte per volere della Fondazione S.E.C.A, di cui é presidente Natalino Pagano, che dopo aver lavorato per 40 anni nell’Olivetti, si è appassionato a questo tipo di strumenti, tanto da iniziare a collezionarli seguendo aste di tutto il mondo, alla ricerca di pezzi unici e rari.

Sotto una teca illuminata, custodita come un’opera d’arte, c’è la “Sholes & Glidden”, il pezzo più antico dell’esposizione. Ideata nel 1873 negli Stati Uniti é la prima macchina per scrivere meccanica. Molto elegante con i suoi dettagli floreali color oro dipinti a mano, non ebbe però successo, soprattutto per il costo molto elevati (126 dollari, mentre all’epoca uno stipendio medio arrivava a circa 5 dollari al mese). La “Sholes & Glidden” era azionata a pedale, come le macchine da cucito. A finanziarne la produzione fu la ditta Remington, che fino a quel momento aveva costruito anche cucitrici e che utilizzò gli stessi materiali per realizzare i primi (e unici) mille modelli.

Dopo questo primo tentativo, le aziende ebbero più fortuna con le macchine ad indice, che si azionavano spostando il puntatore sulle lettere desiderate, per poi premere e incidere sul foglio. La più precisa, anche se molto scomoda, era la “Merrit”, progettata nel 1890. Anch’essa é presente nel Museo. Sembra un oggetto rudimentale in ferro utilizzato da qualche vecchio artigiano, ma in realtà si tratta di uno strumento ideato per la scrittura di alta qualità. 

Il problema del rumore

Tutti gli strumenti continuavano ad avere, però, un grande difetto: il rumore. Così tra il 1920 e il 1930 si pensò di creare oggetti più silenziosi, come i modelli “Noisless” della Underwood e della Remington, che montavano una camera di contenimento utile ad intrappolare e a limitare il classico ticchettìo dei martelletti, che faceva impazzire in posti affollati come le redazioni dei giornali.

Non mancano poi una “Hammond” del 1884, circolare in legno di noce e tasti di ebano, una “Franklin” del 1892 tra le più amate dai collezionisti, fino alla “Underwood model 5” del 1900, che inaugurò il XX secolo e lo standard internazionale. Le portatili, come una “Folding Aluminium” del 1907 (la prima in assoluto), le tascabili con la “Bennet” del 1910. Dalle trincee francesi della Grande Guerra proviene una “Virotyp” del 1914, per scrivere i dispacci e un'”Olympia” del 1941, in dotazione all’esercito tedesco nella seconda guerra mondiale, con tasti per le rune usate dalle ‘SS’ e le svastiche;  l'”Ibm” a testina rotante, usata anche dalle Brigate Rosse e la “Royal Quiet De Luxe” del 1948 placcata in oro, commissionata da Ian Fleming per dar vita a James Bond 007. 

Un intero piano é riservato a tutti i modelli “Olivetti”, dalla capostipite, la “M1” del 1911, alla “Lettera 22” del 1950 e alla “Valentine rossa” disegnata da Ettore Sottsass. La Fondazione S.E.C.A lo ha voluto dedicare il piano all’imprenditore italiano dalla poliedrica personalità, Adriano Olivetti, partendo dalla prima macchina per scrivere creata dal padre nonché fondatore della grande azienda di Ivrea, ingegner Camillo, nel 1908, fino ai primi personal computer. Il percorso espositivo consente di conoscere l’evoluzione meccanica ed estetica di quelle macchine, che fino a qualche decennio fa erano parte integrante di qualsiasi ufficio e dei problemi relativi al passaggio alla macchina elettronica.

Di valore storico le macchine per non vedenti, dalla prima con sistema di scrittura Braille, fino alle più attuali di varia provenienza. La collezione prosegue con le macchine con tastiera cirillica, araba, ebraica, con caratteri giapponesi. Infine, nel piano interrato, vi é un originalissimo settore “Toys”, macchine ideate per i più piccoli, realizzate interamente in latta con sistema di scrittura ad indice e creazioni in plastica più recenti.

L’inventore Mitterhofer

Un altro Museo delle macchine da scrivere si trova in Alto Adige in mezzo al centro storico del pittoresco villaggio di Parcines, nei pressi di Merano (Bolzano). Fu costruito in onore del figlio più grande del Comune, l’inventore della macchina da scrivere Peter Mitterhofer. Grazie alla fondazione del meranese Kurt Ryba nel 1993 – per il centesimo anniversario della morte dell’inventore – furono mossi i primi passi verso la costruzione del Museo che è disposto su quattro piani e contiene 2.000 oggetti, offrendo uno sguardo sulla storia della macchina da scrivere, dall’invenzione di Peter Mitterhofer nel lontano 1864, fino all’era informatica quando, attorno al 1980, la macchina da scrivere venne sostituita definitivamente dal computer.

Anche a Milano, in via Luigi Federico Menabrea 10, c’é un Museo delle macchine da scrivere. E’ nato nel 2006, grazie allo spirito di iniziativa dell’appassionato collezionista Umberto Di Donato, nel quartiere Isola: 200 pezzi, comprese alcune macchine da calcolo. Oggi la collezione ha raggiunto circa quota duemila (frutto anche di donazioni), tra cui alcune antiche, come la “Caligraph” 1882 made in Usa, alcune storiche (come la “Williams” del 1887, che ispirò l’avventura di Camillo Olivetti in Italia) ed alcune appartenute a personaggi famosi della storia del nostro Paese (come Francesco Cossiga, Camilla Cederna e Matilde Serao).

Il Museo contiene modelli quasi introvabili. Dalla macchina cinese degli anni Venti con un’infinità di ideogrammi a quella che scrive in arabo; dall’Olympia risalente alla Seconda Guerra Mondiale con il carattere delle SS (un apposito tasto), fino ai modelli giocattolo, come la macchina da scrivere fuxia di Barbie. Molte anche le rarità connesse, come il disco di vinile a 33 giri “Musica per parole”, prodotto dalla Olivetti nel 1950 e venduto in abbinamento alle “Lettera 22”, letto da Mario Soldati per insegnare a usare la tastiera con dieci dita, oltre a un bel numero di calcolatrici ante litteram.

Il Museo di Milano si trova in un ambiente raccolto dove le macchine da scrivere, originali e restaurate, sono visibili in ogni dettaglio e soprattutto “toccabili”: con la dovuta attenzione i visitatori possono provare a scrivere con la maggior parte delle macchine esposte, alcune delle quali, sono anche a disposizione di ragazzi e scolari. Tutte vengono raccontate da volontari esperti, a iniziare da Sauro, Giuseppina, Chiara e dallo stesso fondatore, sempre disponibili a condurre visite guidate per singoli e gruppi (su prenotazione).

Il Museo, in collaborazione con l’Associazione Culturale Umberto Di Donato, ha organizzato mostre itineranti in tutta Italia e all’estero (Germania, Francia, Svizzera, Belgio), ed eventi culturali, corsi di dattilografia, scrittura cuneiforme e geroglifici, con grande attenzione ai giovani (ad esempio, il concorso di dattilografia “Indro Montanelli” dedicato ai ragazzi). La direzione del Museo è a disposizione di enti pubblici e privati interessati a sostenere, organizzare o sponsorizzare manifestazioni riguardanti la macchina da scrivere, la sua storia, i personaggi, come scrittori e giornalisti, divenuti grandi grazie all’uso di questo strumento.

Un quarto museo (“della Scrittura Meccanica”) si trova a Bra, nella sede dell’azienda Bra Servizi, in provincia di Cuneo, ospita macchine fra il 1880 e il 1960, come la Lambert numero 2, la Franklin numero 7, la Mignon numero 2 o la Taurus, la più piccola del mondo. La collezione è curata da Domenico Scarzello, mostra esemplari provenienti da Giappone, Stati Uniti, Messico, Africa del Nord e Paesi d’Europa.

(nella foto, Quiet De Luxe” del 1948 di James Bond, 007)                                                                                      

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