di VITTORIO ROIDI

Tutto rimandato di un anno. Chi sperava che la Corte Costituzionale, finalmente, potesse dichiarare incostituzionale l’articolo della legge penale che prevede il carcere per i giornalisti, ci è rimasto male. La Consulta ripassa la palla al Parlamento e decide di riconvocarsi il 21 giugno del 2021. Intanto i giudici potranno spedire in galera qualche collega, in barba alle norme internazionali che chiedono per i giornalisti una vera garanzia di libertà.

Per capire con esattezza il ragionamento fatto dalla Corte bisognerà aspettare di leggere le parole dell’ordinanza che non è ancora depositata. Ma la sostanza è chiara, come ha spiegato l’ufficio stampa della Consulta al termine dell’udienza pubblica di quello che una volta veniva chiamato l’”augusto consesso”. Si deciderà fra un anno.

attesa delusa

La riunione era molto attesa. Si contava sulla nuova Presidente Marta Cantabia e sul fatto che anche  alcuni rappresentanti del Governo (come il sottosegretario Andrea Martella) avevano affermato che la pena del carcere va cancellata dal nostro ordinamento. C’erano state le sollecitazioni della Federazione e di tante Associazioni di stampa, nonché quelle dell’Ordine, il cui presidente aveva chiesto di essere ascoltato durante l’udienza. Magistrati, sia di Salerno sia di Bari, avevano sollevato questione di Costituzionalità prima di applicare la legge sulla diffamazione. “Stavolta è la volta buona” aveva pensato qualcuno, ricordando che non molto tempo addietro, per salvare Alessandro Sallusti dalla galera, era dovuto intervenire il Presidente Mattarella, che aveva commutato la pena detentiva in pecuniaria. Dubbi erano tuttavia riaffiorati quando l’Avvocatura dello Stato aveva presentato una memoria che non prometteva nulla di buono. Anche se l’Avvocatura, si sa, fa il suo mestiere: dice cosa prevedono le leggi e come andrebbero applicate. E lì si ferma.

Procedimenti sospesi

La Corte ha ricordato che si tratta di coniugare la norma che prevede la punizione della diffamazione con la libertà di stampa dettata dall’articolo 21 della Costituzione, e con l’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un bilanciamento difficile, anche se molte altre nazioni da tempo, proprio sulla base dell’articolo 10, hanno concluso che il giornalista, per essere libero, mai deve aveva davanti a sé lo spettro della prigione.

Spetta alla Camera e al Senato cambiare le leggi, ha detto la Corte. La quale, dopo aver preso atto che già esistono diverse proposte presentate in Parlamento, ha anche sospeso i procedimenti di Salerno e di Bari per i quali era stata sollevata la questione di incostituzionalità. “E stato lanciato un segnale forte”, ha commentato il presidente dell’Ordine dei giornalisti. Ma la domanda finale è purtroppo questa: il governo Conte e la maggioranza parlamentare che lo sostiene, alle prese con la più drammatica crisi sanitaria ed economica che l’Italia abbia vissuto, potrà trovare il tempo e la compattezza per cambiare la legge sulla diffamazione? La battaglia della categoria contro il carcere non è finita, come non lo è quella contro le querele temerarie, contro i bavagli e le tante forme di violenza e di intimidazione attuate spesso per fermare il lavoro dei giornalisti. 

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