di ANDREA GARIBALDI

Alla fine, l’intelligenza artificiale (A.I.) approda anche nei media italiani. Con fatica. Con il suo carico di terrore.

Altri giornalisti saranno espulsi dalla produzione?

Marco Pratellesi, pioniere dell’informazione online, dice di no. A certe condizioni.

Dunque, dal 27 aprile l’Ansa, ogni giorno alle 18, fornisce i dati sul Coronavirus comunicati dalla Protezione Civile, tradotti in articoli e grafici. In tempo reale. Nessun giornalista se ne occupa direttamente. Fa tutto un algoritmo preparato in collaborazione con Applied XLab, che già da un mese collaborava con la Protezione civile e la task force dati del governo italiano.

Intelligenza artificiale applicata al giornalismo.

Pratellesi, fiorentino, 63 anni, giornalista, ha lavorato allo sviluppo digitale del Corriere della Sera, dell’Espresso, di Condé Nast, di Poligrafici Editoriale, è stato condirettore dell’Agi, ora collabora con AppliedXlab di Francesco Marconi, già direttore Research and Development per il Wall Street Journal.

Quindi, ancora meno posti di lavoro per i giornalisti?  

“Tutte le grandi esperienze internazionali di giornalismo, quelle che funzionano, BBC, Washington Post, New York Times, Wall Street Journal, Associated Press, Reuters, Financial Times, El Pais, utilizzano ormai diffusamente l’intelligenza artificiale. In molte di queste realtà i giornalisti sono cresciuti di numero”.

In Italia l’Ansa è la prima?

“Fra le grandi testate sì. Sui dati Coronavirus della Protezione Civile ogni giorno ogni testata impiega un giornalista per tradurli in testi e grafici. Si tratta di un lavoro ripetitivo: le strutture dei pezzi sono pressoché identiche. Ora l’Ansa, grazie al flusso automatizzato che fornisce testi e grafici, ha invece un giornalista libero per analizzare e spiegare quei dati, fare interviste con gli esperti. Cioè quello che nel giornalismo fa la differenza”.

Gli altri prenderanno esempio?

“Io credo che tra cinque anni al massimo tutte le aziende editoriali si dovranno adattare. Per non restare ai margini. L’intelligenza artificiale è una rivoluzione tecnologica inevitabile. Come il telefono. Come il digitale”.

Che può fare l’intelligenza artificiale nel giornalismo?

“Scovare le notizie, per esempio. Segnalare le impennate su un certo argomento nei social con un alert può aiutare i giornalisti a capire che è avvenuto un fatto importante, come un attentato o un terremoto, ma anche un peggioramento dell’inquinamento atmosferico in una determinata zona. A.I. può riconoscere dalle foto gli invitati a un matrimonio reale: lo ha fatto Sky con le nozze Megan-Harry. E ci sono programmi di AI in grado di estrarre da migliaia di tweet i potenziali testimoni oculari di un fatto di cronaca”.

In che modo?

“Si chiama tecnica dizionario. Un algoritmo cerca all’interno di un corpus di tweet relativi a un fatto di cronaca la presenza di circa 740 parole che si riferiscono alle categorie di vedere, guardare, avvistare, ascoltare, sentire: chi usa quelle parole è un probabile testimone oculare del fatto, quindi una fonte indispensabile per un giornalista”.

A.I. può aiutare a distinguere le notizie vere da quelle false?

“Ci sono software che aiutano a ricostruire tutto il percorso di un post o di un tweet, chi l’ha rilanciato, chi ha aggiunto particolari o foto, fino a risalire alla fonte primaria, chi per primo l’ha messa in rete. Così si può valutare se una notizia nasce da un professore di Harvard o da un cittadino in Estonia. Un aiuto fondamentale per i giornalisti che in pochi minuti devono decidere se rilanciare o meno la notizia. La Ap usa uno di questi software da anni e assicurano che fa risparmiare molto tempo ai giornalisti e offre un vantaggio sulle altre agenzie. Ci sono anche utilizzi della A.I., forse più banali ma che fanno risparmiare tempo, come la sbobinatura automatizzata speech to text di un’intervista come questa. In tempo reale”.

Sembrano facilitazioni per il lavoro quotidiano.

“E’ così. Una volta circolavano pochi dati che si raccoglievano con penna e taccuino. Il Guardian nell’’800 condusse ‘a mano’ un’indagine sulla scolarizzazione, i giornalisti andarono a consultare i registri nelle scuole. Ma erano pochi gli studenti e poche le scuole. Oggi il mondo è pervaso di dati. La capacità di analizzare tutti quelli necessari a un pezzo esauriente non è più un lavoro che può essere affidato all’essere umano, che ha altre capacità rispetto alla macchina e che può impiegare meglio“.

I.A. è stata utile per i grandi consorzi di giornalismo investigativo.

“Nel caso Implant Files, condotto dal Consortium of Investigative Journalists, sono state analizzate 8 milioni di cartelle cliniche per rintracciare i danni causati da dispositivi medici mal testati. A.I. ha permesso di identificare 3400 modi con cui i decessi erano riportati. Nel caso dei Panama Papers, ai quali ho lavorato quando ero all’Espresso, sono stati esaminati 13,4 milioni di documenti: senza l’aiuto della A.I. nella organizzazione dei documenti, nel ricostruire le connessioni non avremmo mai trovato gli aghi che si nascondevano nei pagliai delle società offshore”.

Uno dei campi di applicazione maggiori è lo sport, che è pieno di numeri.

“Io ho cominciato alla Nazione di Firenze. C’era un collega, Francesco Querusti, che girava tutti i campi di calcio della provincia per raccogliere i tabellini delle partite. Oggi tutti questi dati sono digitali e si trovano in rete. Si tratta solo di sistemarli ed elaborarli e un algoritmo lo fa benissimo. Il giornalista, casomai, può ragionare su quei dati per un commento o una analisi complessiva della giornata”.

Altro campo per l’intelligenza artificiale, l’economia.

“L’agenzia Associated Press riusciva ad analizzare circa 300 bilanci trimestrali delle aziende americane. Ora, grazie alla AI, ne analizza 4000. Non ha sottratto lavoro ai giornalisti, è riuscita a coprire meglio un settore che con le risorse professionali non era in grado di soddisfare. Al tempo stesso utilizza quei giornalisti per fare analisi, per spiegare cosa cambia e perché in determinate aziende. Ap ha pubblicato nel 2019 quarantamila pezzi realizzati con l’intelligenza artificiale, dallo sport alla finanza. Secondo James Kennedy, vicepresidente alla Strategia e allo sviluppo dell’agenzia, ‘la maggior parte di questi articoli non hanno avuto bisogno di alcuna revisione umana’”:

Questo fa impressione.

“E’ un mondo che cambia velocemente, ma è anche un supporto fondamentale per riscrivere un modello di business sostenibile nell’informazione. Lasciamo i lavori ripetitivi all’intelligenza artificiale, e il valore aggiunto ai giornalisti: contatti con le fonti, collegamenti, comprensione, spiegazione, interviste esclusive, inchieste. Il giornalismo si evolve con le tecnologia, come è sempre stato, peraltro. Rifiutare tutto questo equivarrebbe a un lento suicidio. Se si vogliono far pagare i lettori per accedere ai contenuti online, si deve, prima di tutto, offrire qualità”.

A.I. può fare anche titoli e sommari?

“Sì, il machine learning può essere programmato a distinguere ed evidenziare i punti importanti. Può scrivere articoli nello stile di un dato giornale. Così come i robot possono riprodurre un tono di voce”.

In Cina ci sono robot che leggono le notizie.

“Lo so. Ma in questo momento è per me un aspetto meno interessante. Guardo con più interesse a esperimenti dove i robot vanno a filmare in zone di guerra o di grande pericolo. Questo, in alcuni casi, può limitare i rischi per i colleghi che da remoto possono controllare il robot e decidere cosa filmare e come”.

Ti risulta che i grandi giornali italiani stiano per mettersi in questa corsa?

“Non molto, ancora, purtroppo. Soprattutto non mi risulta che si stiano mettendo in piedi R&D lab, laboratori di ricerca e sviluppo nelle aziende editoriali, dove giornalisti, grafici, sviluppatori ed esperti di marketing studiano le strategie per migliorare il prodotto. Laboratori che esistono ormai nelle principali testate mondiali. Se fai solo tagli agli organici, avrai solo giornalisti con la lingua di fuori e prodotti che scadono di livello. E invece, mai come oggi c’è bisogno di reinventare il giornalismo. Il giornalista dovrebbe essere il guardiano dell’etica e della deontologia, il responsabile di quello che scrive e pubblica e può avvalersi di tutti gli strumenti. L’A.I. è un aiutante, che il giornalista deve saper gestire per potenziare il suo lavoro ”.

Un editore italiano potrebbe realizzare il sogno di fare tutto un giornale con A.I.

“Si potrebbe fare, certo. Ma a quale scopo? Qual è il modello di business? Se si lavora a scapito della qualità non c’è futuro nella nostra professione. Almeno questo ormai dovrebbe essere chiaro”.

 (nella foto, Marco Pratellesi)

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