(A.F.) C’è stata una stagione in cui i quotidiani, incredibile a dirsi, hanno venduto in edicola moltissime copie. Superando complessivamente, intorno alla fine degli anni Ottanta, la barriera dei 7 milioni di esemplari giornalieri, per poi assestarsi nel 1992 poco oltre la cifra di 6.800.000, grazie anche ai fatti e al racconto di Tangentopoli.

Ma a quel picco dei 1989 arrivarono solo in forza dei giochi abbinati alla testata: “Portfolio” per la Repubblica(inizi del 1987), lotteria di ideazione britannica, più ricca e articolata del “Bingo” adottato e lanciato dal blasonato e iperdecantato Times di Londra, e “Replay”, più tardi,  per il Corriere della Sera (14 gennaio 1989), che in una sola settimana arrivò a raddoppiare addirittura le copie superando la cifra di 1.300.000 in un solo giorno. Un gioco abbinato allo straordinario successo della Lotteria Italia, quella di Capodanno.

Anche le vendite di Repubblica, con “Portfolio”, raggiunsero nell’aprile del 1987 la media di 696 mila copie, tanto che il direttore dell’epoca, Eugenio Scalfari, dichiarò con soddisfazione che “il giochino ha fatto crescere la diffusione di 180 mila copie”. Ma in palio ci sono ricchi premi&cotillons. Sono anni di sfida quelli tra l’87 e l’89 tra la testata romana con sede allora in piazza Indipendenza e lo storico quotidiano di via Solferino a Milano, in cui giocano a superarsi di continuo l’un l’altra. Anche con iniziative editoriali vere e proprie, come il varo del settimanale 7 da parte del Corriere il 12 dicembre 1987, 122 pagine con una tiratura di 912.731 copie e buone vendite, e l’immediata risposta de la Repubblica, appena un mese più tardi, con il lancio de il Venerdì il 16 ottobre. Vendita dichiarata del “malloppo”, che comprende anche l’allegato economico Affari&Finanza, 1.030.000 copie giornaliere.

“Questa concorrenza a colpi di rotocalco qualche risultato importante lo dà – annotava lo storico del giornalismo Paolo Murialdi sulla sua rivista Problemi dell’Informazione (anno XV, aprile-giugno 1990) – ma i magazines sono costosi, la raccolta pubblicitaria è dura e così i conti dei supplementi sono ancora in rosso nel 1989”. La rivincita – “e che rivincita” esclama Murialdi – il Corriere se la prende scendendo nell’arena il 14 gennaio con “Replay”, appunto, raddoppiando le vendite come già anticipato. Poi l’effetto dei giochi si smorza per entrambe le testate nei primi mesi del 1990. 

Abbonamenti e omaggi

Sono quelli anche gli anni in cui le “mazzette” dei giornali abbondano ovunque. Nelle redazioni medesime, negli uffici, nelle direzioni dei ministeri, in tutti gli uffici stampa, per la compilazione delle rassegna fai-da-te o da parte di società dedicate. È un vero e proprio effluvio di copie. Che finiscono dentro al grande calderone del conteggio delle vendite, degli abbonamenti, degli omaggi, delle copie poi anche regalate per scopi promozionali e insieme pubblicitari, se è vero – come lo è del resto – che la diffusione di una testata conta tantissimo nell’attrarre la réclame sulle sue proprie pagine.

Poi arriva però la crisi e i primi a tagliare le copie dei giornali sono proprio gli editori. E si comincia dalle redazioni, dove se non proprio una “mazzetta” per redattore, ce n’era comunque una completa per ciascun caposervizio, caporedattore, vice direttore e direttore, oltre a quelle specifiche per le redazioni. Poi si è cominciato a tagliarle, ma al tempo stesso a metterle in comune e in condivisione per più mansioni e per pari grado. Quindi si è passati all’assegnazione di una “mazzetta” per isola di lavoro o sezione. E così via via in tutti i giornali, negli uffici, nelle direzioni dei ministeri, in tutti gli uffici stampa, per la compilazione delle rassegna fai-da-te o da parte di società specializzate.

Per l’editore tagliare il numero delle copie in redazione significa un risparmio certo, ma se poi anche tutti gli altri soggetti non acquistano più copie di giornali per fornirle ai propri dirigenti e dipendenti segue il danno, oltreché la beffa. Una disposizione aziendale ”umiliante e grottesca”, che rappresenta ”uno schiaffo al pluralismo”: così la definiscono i giornalisti del Tg1 dichiarando battaglia alla direzione aziendale Rai per la decisione di limitare le “mazzette” ad uso interno . E chiedono ”un’immediata correzione della disposizione e un intervento della presidente Rai e del Cda”, si legge in un comunicato del Cdr del primo Tg Rai il 30 luglio 2003. La lettura dei quotidiani in qualsiasi redazione giornalistica non è infatti un optional. “!I giornali sono per noi strumenti essenziali del mestiere: sarebbe come privare un ciabattino di chiodi e martello”, chiosano i redattori. Così la decisione del direttore generale Flavio Cattaneo ”di fare economia alla Rai partendo dal taglio delle ‘mazzette’ sarebbe surreale se non fosse gravissima”, dichiara sempre il 30 luglio il parlamentare della Margherita Giorgio Merlo, componente della Commissione di Vigilanza, che sottolinea: ”Con lo stipendio del Direttore Generale  l’azienda potrebbe comprare 666.000 quotidiani”. Tant’é.

Qualche anno più tardi, siamo a fine luglio 2006 anche il ministero della Giustizia taglia: ci sono pochi soldi, è la giustificazione. E il Guardasigilli dell’epoca, Clemente Mastella, è costretto a limare le mazzette dei giornali che i magistrati impiegati a Largo Arenula si trovano ogni mattina sulla scrivania. A darne notizia è lo stesso ministro nella sua audizione in commissione Giustizia di Palazzo Madama. ”Ho dovuto tagliare le mazzette dei giornali anche ai sottosegretari”, specifica poi Il Guardasigilli, che si affretta subito a precisare che solo la sua ha subito “meno tagli”.

l’offerta di telegram

Così, dunque, a partire dagli anni Duemila, e con il progredire dello sviluppo tecnologico e la diffusione via via di internet e dei social media, le “mazzette”- rassegna hanno cominciato a diventare digitali. Il risultato è che “tagliano” per risparmiare gli editori e ”tagliano” via via per lo stesso motivo anche i lettori, che adesso cominciano ad acquistare sempre meno copie cartacee in edicola preferendo invece informarsi in altro modo: tv, radio, web, sui siti ufficiali dei canali di informazione,sui quali gli editori tuttavia puntano tutte le proprie energie e cospicui investimenti. Il problema è che le rassegne stampa digitali circolano anche in versione “pirata”: grazie alle nuove tecnologie ormai hanno invaso il web, basta solo saperle cercare o avere le chiavi d’accesso, il possesso di password ad hoc per poterle consultare. E anche gli editori hanno così sostituito le “mazzette” cartacee con “mazzette” digitali. Ad uso dei giornalisti delle proprie testate, più spesso in formato pdf. Tanto che il 6 gennaio 2012, alla fine del suo mandato anche il dg dell’epoca della Rai, Lorenza Lei, fa cadere la sua mannaia su testate, reti, produzioni e su tutte le strutture aziendali della Rai. Si parte dai direttori, ai quali viene sfoltita radicalmente la mazzetta dei giornali: al massimo quattro quotidiani e chi ne desidera di più dovrà comprarseli di tasca propria. Via -peraltro- anche le auto a disposizione per gli spostamenti dei direttori, a vantaggio dell’uso delle auto private o del trenino per Saxa Rubra. Inizia la stagione delle lacrime e del sangue.

Oggi nei giornali non circola quasi più una copia cartacea. Neppure quella della testata di appartenenza, sostituita dall’edizione digitale e dalla “mazzetta” virtuale. E ciascun editore ha la sua raccolta di testate da far utilizzare per consultazione e per lavoro ai propri redattori e dipendenti nelle diverse mansioni e incarichi. E così, con le rassegne digitali hanno cominciato anche a circolare le password e quindi si sono moltiplicate le possibilità di accesso gratuito alla lettura di quotidiani, settimanali, mensili e quant’altro che vengono riprodotti e diffusi con gli strumenti più diversi. Pure sul telefonino, da piattaforme online come lo posso essere Telegram o Google, ad esempio. E ne usufruisce ormai una larga platea di pubblico (500 mila persone, secondo i calcoli riportati da la Repubblica in due servizi editati il 19 e il 20 settembre 2019). La Federazione degli editori è ora scesa sul piede di guerra e ha scatenato una vera e propria campagna antipirateria che chiama in causa direttamente l’Agcom e la Guardia di finanza per verifiche e controlli anche sulla base della violazione della direttiva europea sul copyright. 

Tuttavia non mancano le contraddizioni. Ora anche le testate che mettono a disposizione dei propri giornalisti le proprie copie virtuali, magari in formato pdf, assieme a quelle della concorrenza, si sono viste negare la possibilità di accesso dagli editori concorrenti, infastiditi da un possibile uso – ma soprattutto abuso – di utilizzazione gratuita ben oltre i confini strettamente professionali. E così dalle “mazzette pdf” si sono ritirate un po’ alla volta alcune testate prestigiose. Eppure negli anni Settanta e anche per una buona parte degli Ottanta, le redazioni dei giornali le copie delle reciproche testate se le omaggiavano vicendevolmente. Gentleman agreement. Ora viene meno anche questo gesto o disponibilità, se pur virtuale.

Nel frattempo, però, alcune testate hanno anche cominciato ad offrire ai propri abbonati digitali delle panoramiche di rassegna stampa su più argomenti del proprio giornale, previo pagamento della copia, ma non disdegnano tuttavia di linkare l’articolo della concorrenza pubblicandolo dal suo sito internet. Una pratica che non viene considerata “furto” ma semmai “segnalazione”, che non può che far piacere anche alla concorrenza. In base alla regola che ogni link aperto è un clic che fa traffico.

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