L’amava, ma lei l’aveva respinto”. “Un gigante buono incapace di fare del male”. “Voleva tornare con lei, ma la donna aveva deciso di chiudere il rapporto”. “Un raptus per troppo amore”.
“L’elenco delle parole sbagliate per raccontare la violenza sulle donne si arricchisce, ad ogni femminicidio, di nuove giustificazioni per il colpevole e di nuove coltellate alla vittima. Che scompare, non solo fisicamente: è una figura marginale nella ricostruzione, verso di lei non c’è rispetto, al massimo attenzione morbosa. L’ultimo caso, a Piacenza, per l’omicidio di Elisa Pomarelli: i titoli e i contenuti, sui giornali, ma anche in televisione, in radio e sul web, inorridiscono per la superficialità, il racconto concentrato sull’uomo, e sui complici, quasi si cercasse una spiegazione per riabilitarli”. Lo affermano le Commissioni Pari Opportunità di Federazione nazionale della Stampa italiana, Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e Usigrai e l’associazione Giulia Giornaliste che, in una nota congiunta, “denunciano, ancora una volta, la mancata applicazione del Manifesto di Venezia, che impegna i giornalisti ad una corretta informazione contro la violenza sulle donne”.

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