di ANDREA GARIBALDI

L’uccisione a Roma del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, nelle prime ore di venerdì 26 luglio, è un evento pieno di insegnamenti per i giornalisti. Non clamorosa, né fuori dal comune, questa è la storia di cronaca più confusa, pasticciata, incredibile degli ultimi anni.
I giornalisti hanno lavorato, nel complesso, con impegno e costanza, ma hanno commesso alcuni errori, tratti in inganno dalle fonti ufficiali e non ufficiali.
Su questi errori può essere utile riflettere. Per la prossima volta.
La storia ancora è piena di buchi e stanze vuote. Che i giornalisti dovrebbero e potrebbero provare a riempire. C’è sempre un po’ di reverenza e di timore quando la cronaca riguarda da vicino le forze dell’ordine. E c’è il rischio della prepotenza da parte delle forze dell’ordine stesse.

caccia ai negri

Tutto è cominciato nel peggiore dei modi. Il delitto avviene intorno alle 3 del mattino. Le prime notizie su quanto è accaduto vengono comunicate ai cittadini pochi minuti prima delle 9. Dunque, i comandi dei carabinieri ed eventualmente i responsabili politici da cui dipendono, hanno circa sei ore di tempo per reperire informazioni, comprendere, valutare, soppesare. Al limite, confezionare. Tutto questo non sembra venga effettuato con molta perizia, né molta cura.
Ore 8 e 30 minuti, il sito Infodifesa, “Portale di informazione per il comparto sicurezza e difesa”, mette online la notizia del delitto con l’accenno alla responsabilità di “due soggetti nordafricani”.
Ore 8 e 59 minuti, l’Ansa batte la notizia dell’uccisione del vicebrigadiere: “Dalle prime informazioni -si legge in questo primo take- sembra sia stato colpito da un uomo, probabilmente nordafricano”. L’agenzia viene letta in diretta a Unomattina dal giornalista Roberto Poletti, un milione di telespettatori apprendono la tragedia e l’identikit dei supposti (quasi certi) colpevoli.
Dieci minuti dopo, stessa agenzia: “E’ caccia a due uomini, probabilmente africani”. Adnkronos dice invece che il collega dell’ucciso “poteva morire anche lui, e si è salvato per caso e perché ha reagito alla violenza dell’altro magrebino”.
Fin qui le fonti sono nebulose, riservate, non citate. Ma alle 9,11 la Legione Carabinieri Lazio, Comando provinciale di Roma, emette finalmente un comunicato stampa ufficiale: “Un vice brigadiere dei Carabinieri è deceduto, in servizio, questa notte, a Roma dopo essere stato accoltellato da un individuo, probabilmente un cittadino africano…”.
Il sito del Corriere della Sera scrive che uno dei due ricercati ha “un accento straniero, probabilmente nordafricano”, il Giornale parla di “balordo straniero”, Libero di “una belva nordafricana”, Il Messaggero annuncia la “caccia a due nordafricani”. La Verità pubblica un video in cui il giornalista Mario Giordano parla dei due sospettati nordafricani e ottiene 30mila visualizzazioni. Il Secolo d’Italia, diretto da Francesco Storace, titola: “Nordafricani ammazzano a coltellate carabiniere a Roma”: 10 mila condivisioni.
Alle 12,47 la pagina Facebook Puntato, “l’App degli operatori di polizia”, annuncia la cattura di 4 nordafricani, tre cittadini di origini marocchine e uno di origini algerine, con tanto di foto segnaletiche e occhi coperti (per la privacy). Si tratta dell’account di una app privata, ma agganciata al sito della polizia, amministrata da due carabinieri in servizio, con 181 mila followers. In poco tempo su Twitter spuntano le schede segnaletiche dei quattro presunti sospetti, non oscurate, con nome, cognome, e informazioni su domicilio e genitori. Un’altra pagina facebook, “Soli non siamo nulla. Uniti saremo tutto”, ripubblica la foto di Puntato con la didascalia: “Ora lasciateli a noi colleghi ed al popolo, faremo noi giustizia”. Unico amministratore della pagina, V.G., da 27 anni agente della Guardia di Finanza, già candidato in una lista civica in lizza per le comunali di Monte Romano, in provincia di Viterbo. Sulla sua pagina Facebook, fra l’altro, una bandiera di Casapound con lo slogan #NoIusSoli e diverse immagini di Benito Mussolini. La rivista Wired contatta la Guardia di Finanza che conferma di “aver attivato urgenti approfondimenti sulla vicenda” e che eventuali responsabilità saranno trasmesse all’autorità giudiziaria. Nessuno ne sa più nulla, né chiede lumi alla Guardia di Finanza.

Carta di Roma addio

Prima riflessione, quindi: nessuna fonte si può prendere per buona senza almeno citarla. I carabinieri hanno diffuso una notizia falsa e agenzie e giornali, in gran parte, hanno riprodotto quella notizia, quasi sempre senza neanche usare il condizionale. L’Associazione Carta di Roma ha subito ricordato che gli organi di stampa aderenti alla Federazione nazionale della Stampa hanno sottoscritto la Carta di Roma, il cui terzo principio recita: “Evitare la diffusione di informazioni imprecise sommarie e riflettere sul danno arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati…”. Inoltre, sempre secondo Carta di Roma, la nazionalità di un criminale si indica di solito solo se è fondamentale alla comprensione della notizia e, soprattutto, non andrebbe usata se non si è sicuri.
Col senno del dopo, si può notare come sia inspiegabile la prima notizia data dai carabinieri sull’identità “nordafricana”. Erano passate sei ore dal delitto, c’era un carabiniere testimone oculare che aveva ben visto le caratteristiche bianche e bionde degli aggressori. La fretta e la paura di restare indietro rispetto ai concorrenti hanno impedito a molti organi di informazione di rispettare le norme, il buon senso, la cautela, il rispetto.
Senza chiedere nessuna scusa quando, nel primo pomeriggio di venerdì 26 luglio l’identità statunitense dei due accusati diventa palese.
Per dare la notizia e usare la massima trasparenza sarebbe stato giusto citare il comunicato della Legione dei carabinieri come fonte, lasciare a loro la giusta responsabilità.

L’altro carabiniere

Il secondo punto oscuro, poco approfondito, riguarda Andrea Varriale, il carabiniere sopravvissuto, e presente in ogni passaggio. Inviato dai superiori, assieme a Cerciello Rega, a recuperare dai due americani lo zainetto sottratto a Sergio Brugiatelli. Brugiatelli aveva truffato gli americani facendo acquistare cocaina che non era cocaina. Teste chiave, si potrebbe definire Varriale in un giallo, se questo fosse un giallo e non un tragica realtà. Tanto per cominciare è lo stesso Varriale, secondo i suoi superiori a dire che gli assassini sono “magrebini”. In un secondo momento aggiunge che ha visto un ciuffo biondo (da qui si parlerà di nordafricano con le meches) e un tatuaggio. Si può ragionevolmente ricordare prima di essere aggredito e sopraffatto da due africani e poco tempo dopo ricordare un ciuffo biondo?
“Si è confuso, era in stato di choc”, spiega il comandante provinciale dei carabinieri Francesco Gargaro. Lo stesso Varriale non aiuta il collega e non usa la pistola d’ordinanza, annientato dall’americano non armato di coltello. Gargaro: “E’ stato preso alla sprovvista. E comunque non è fisicamente grosso”. Ma non dovrebbe almeno essere addestrato a situazioni del genere?
La sua pistola, dopo i fatti, -secondo Il Giornale- gli è stata tolta e messa in sicurezza. A quali accertamenti sarà sottoposta, visto che non sarebbe stata usata?
Senza dubbio, i giornalisti non dovrebbero far svanire nel nulla il personaggio Varriale. A quali compiti ora è stato destinato? Cosa ha da raccontare ancora?

i preliminari

Ci sono carabinieri fuori servizio della stazione Farnese, in piazza Mastai, prima dell’appuntamento mortale. La stazione Farnese non è competente su Trastevere, c’è la stazione Trastevere. I carabinieri sostengono che quattro carabinieri, fra i quali il maresciallo Sansone, della stazione Farnese erano andati a mangiare una pizza e intervengono mentre lo spacciatore Pompei, contattato da Brugiatelli consegna la finta droga a uno degli americani. Poi, -secondo il racconto di Pompei ai pm -arrivano due carabinieri in moto, in borghese, poi un’altra pattuglia di Monteverde con un auto. E Varriale, in servizio in borghese, chiamato da Sansone. Pompei prova a dire: “Io so’ amico delle guardie”, ma c’è concitazione e Pompei molla il pacco con la droga, mentre Brugiatelli e l’americano scappano. La droga si rivela prima aspirina e poi diventa, nelle cronache, tachipirina. Ma -a quanto pare- il pacco viene lasciato dai carabinieri sul posto e nessuna perizia viene effettuata su questa sostanza. Pompei viene lasciato andare.
Andrebbe chiesto conto ai carabinieri di questa circostanza e delle notizie diverse che vengono fatte filtrare. Andrebbero citate le fonti di tutte queste contrastanti informazioni.

le telecamere

Il 30 luglio, durante la conferenza stampa di carabinieri e procura, il comandante provinciale Gargaro dice che “nel luogo dove è avvenuta l’aggressione purtroppo non c’erano telecamere”. Ma il 26 luglio era “trapelato” che erano stati sequestrati i video delle telecamere di piazza Mastai, a Trastevere, quelle interne ed esterne all’hotel Meridien dove alloggiavano gli accusati, quelle della gioielleria Ghera di via Federico Cesi e quelle della filiale Unicredit sul luogo dove è avvenuta la colluttazione”. Il primo agosto esce la notizia che “la telecamera della banca era fuori uso”. Ma fonti della banca il 26 luglio avevano comunicato l’acquisizione dei filmati delle telecamere da parte del reparto operativo dei carabinieri e della prima squadra del nucleo radiomobile.
La gip Chiara Gallo nella sua ordinanza a scrive: “Attraverso l’analisi delle immagini dei sistemi di video sorveglianza presenti sui luoghi in cui si sono svolti gli eventi (ovvero in piazza Mastai e in via Cossa, angolo via Cesi) è stato possibile individuare le persone coinvolte”.
Anche di questo bisognerebbe chiedere conto.

lA pistola dimenticata

Secondo alcune ricostruzioni, Cerciello è anche lui già in piazza Mastai, quando viene consegnata la finta cocaina. Ma secondo la maggioranza delle altre ricostruzioni, l’apparizione di Cerciello Rega avverrebbe dopo la consegna. Brugiatelli chiama il 112 perché gli americani, fuggendo, gli hanno sottratto lo zaino. La centrale -secondo informazioni pubblicate- prima manda una pattuglia in divisa in piazza Mastai, poi convoca Cerciello e lo incarica assieme a Varriale del recupero. A supporto, in Prati, vengono inviate -secondo informazioni pubblicate senza fonte- due pattuglie. Oppure quattro. Nessuna comunque interviene a difendere Cerciello dall’aggressione.
Cerciello -apprenderemo cinque giorni dopo il delitto- va all’appuntamento con gli americani senza pistola. “Solo lui sa perché”, dice il comandante Gargaro.
Davvero incomprensibile.
Come è incomprensibile che i due militari non lascino andare Brugiatelli all’incontro, appostandosi per sorprendere gli americani sul fatto, come si fa di solito in queste occasioni.

bendato e fotografato

Uno dei due indagati statunitensi, Gabriel Natale Hjort, viene portato negli uffici del nucleo investigativo dei carabinieri in via Inselci e qui bendato. E fotografato. E la foto viene resa pubblica.
Chi lo ha bendato?
Chi lo ha fotografato?
Chi c’era nella stanza dove avviene tutto questo? Secondo la Repubblica anche qui ci sono carabinieri della stazione Farnese. Onnipresenti su ogni luogo della vicenda, pur non essendo mai competenti per zona.
Chi diffonde la foto all’esterno della caserma?
Due sono i carabinieri indagati, uno per abuso d’ufficio e uno per rivelazione di segreto d’ufficio. Chi ha fatto la foto -fa sapere la Procura- potrebbe anche averla diffusa. Nessun nome reso pubblico, nessun dettaglio sul provvedimento nei riguardi degli indagati reso pubblico.
I giornali dovrebbero esigere di sapere. O di sapere perché non si può sapere.

il caso non E’ chiuso

C’è stato e continua ad esserci un lavoro incessante di molti colleghi su questo mistero. Ma le notizie non sono precise. Spesso appaiono poco credibili, scarsamente attendibili. In molti casi non viene citata la fonte. Probabilmente perchè molte fonti non si possono citare. In un caso così complicato e confuso, ancora più del solito. Però si può ipotizzare che le fonti non citabili siano avvelenate e che quindi sia meglio non utilizzarle. Non si dovrebbero dare per certe, senza condizionali, notizie di provenienza dubbia, incerta, che potrebbero essere diffuse per interessi slegati dall’accertamento dei fatti. Ricordiamo tutti il caso Watergate e le regole del Washington Post: prima della pubblicazione trovare la conferma di almeno due fonti non contaminate.
Il lavoro dei giornalisti, quando è così difficile avvicinarsi alla verità, dovrebbe soprattutto consistere nel mettere in luce i lati oscuri, nel continuare a fare domande. Il quadro d’insieme della vicenda, molti giorni dopo l’evento tragico, resta assolutamente oscuro, inspiegabile.
Perchè tutta questa confusione? L’unico motivo valido sembra la volontà di coprire realtà inconfessabili. Quali?
L’unico che ha provato a gettare obliquamente luce, con metodo allusivo, è il sito Dagospia, che ha semplicemente pubblicato un articolo del febbraio 2016 su quattro carabinieri in servizio presso il nucleo investigativo di via Inselci arrestati: si appropriavano della droga sequestrata e la rivendevano, lasciando che gli spacciatori continuassero la loro attività, in cambio di informazioni. Arrestati anche 5 spacciatori e confidenti dei militari. Nessuna relazione palese con la vicenda attuale, una semplice, perfida, giustapposizione.
Un giornalismo più rigoroso dovrebbe lavorare sulle piazze dello spaccio di Trastevere, raccogliere informazioni sull’attività delle forze dell’ordine in zona. Continuare senza requie.
Cercare di capire.
Evitare -come vogliono istituzioni e persone interessate all’oblio- che tutto vada a chiudersi in un polveroso cassetto.
Una faccenda non chiarita, per un giornalista, non è mai chiusa.

(nella foto: Maria Rosa Cerciello Rega)

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