“Ho fatto il giornalista e non l’amico”. Questa la frase con cui Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, si è giustificato per aver pubblicato la notizia della malattia di Sinisa Mihajlovic. Invece, un giornalista degno di questo nome non l’avrebbe dovuto fare.
La vicenda sta facendo discutere il mondo del calcio, ma è bene che ci riflettano anche i giornalisti.
I fatti sono andati così. L’allenatore del Bologna ed il giornalista (noto anche per la sua partecipazione alla giuria di “Ballando con le stelle”) erano vecchi amici. Di recente Mihajlovic aveva confidato a Zazzaroni di essere ammalato, ma non si aspettava che l’amico pubblicasse la notizia. Quando l’ha vista sul Corriere dello Sport ha riflettuto a lungo e, proprio perché l’informazione era ormai uscita, ha deciso di indire la conferenza stampa nel corso della quale ha spiegato di avere la leucemia. Probabilmente non l’avrebbe fatto se l’amico non avesse violato la sua privacy.
Perché di questo si è trattato. Strano che il direttore di un quotidiano, per fare un piccolo scoop, abbia compiuto una simile leggerezza. Le norme deontologiche dei giornalisti proibiscono di rendere pubbliche le informazioni che la legge del 1996 (modificata nel ’98) definiva “dati sensibili”: sfera sessuale, condizioni di salute, notizie sulla religione, le opinioni politiche e sindacali ecc). Da più di 20 anni anche le società sportive hanno dovuto stare attente a non rendere note le condizioni fisiche di un atleta infortunato. La protezione della privacy non è più un optional, ma un obbligo per chi fa il giornalista ed in questi casi chi sbaglia finisce sotto procedimento disciplinare da parte dell’Ordine regionale cui appartiene (o meglio del suo Consiglio di disciplina.).
Sinisa Mihajlovic ha ricevuto migliaia di attestazioni di simpatia ed esortazioni a combattere il male e a guarire presto. E’ sempre stato un lottatore e vincerà questa battaglia. Ma l’episodio colpisce per la disinvoltura con cui quello che considerava un amico ha calpestato il suo diritto a mantenere riservata una questione grave, delicata, che avrebbe potuto gestire senza dover mettere in piazza, come poi è stato costretto, i propri sentimenti e le proprie emozioni.
V.R.

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