di RENATO GAITA
L’articolo pubblicato da Professione Reporter che descrive benissimo il bel libro di Marco Molendini, “Sotto il sole di Roma”, è come al solito preciso, dettagliato, pieno di fatti. Il motivo del mio intervento, più che altro una testimonianza, un ricordo, sta nella foto a corredo del pezzo. Come spiega la didascalia, la foto è stata scattata la sera, siamo nel luglio 1973, in cui giornalisti e maestranze del Messaggero, ribellandosi alla vendita del giornale all’editore di destra Edilio Rusconi e alla defenestrazione del Direttore nonché in parte ancora proprietario Sandrino Perrone, cacciarono il Direttore nominato da Rusconi, Luigi Barzini, giornalista di destra.
baffoni alla Zapata
Guardando quella foto, mai vista in vita mia, sono rimasto sorpreso. Perché il tizio all’ estrema destra, davanti al cartello “Barzini go home”, sono io, allora ventottenne cronista nella Cronaca del grande Silvano Rizza. Ero entrato al Messaggero poco prima. Segno distintivo, un paio di baffoni alla Emiliano Zapata. Sintetizzo al massimo. Per una serie di motivi, il cugino del principe Sandrino Perrone, Ferdinando, vende a Rusconi la sua parte di proprietà, operazione dietro la quale ci sono Fanfani e la Dc. Negli ultimi anni il giornale è diventato scomodo. Articoli di denuncia su scandali di ospizi più o meno religiosi, inchieste sul malfunzionamento degli ospedali, sulle trame nere e la strategia della tensione. Addirittura vengono scoperte “cimici” nell’ ufficio di Sandrino Perrone.
colpo di mano
La redazione, perlomeno una parte significativa, è in agitazione. Così quella sera, quando trapela la notizia che sta arrivando Luigi Barzini per insediarsi, non si perde tempo. Un inaccettabile colpo di mano, di arrogante prepotenza. Decine di redattori e tipografi si affollano nell’atrio e davanti al portone. Vengono affissi cartelli, “Barzini go home”, “Rusconi, Fanfani, giù le mani dal Messaggero”. C’è anche Sandrino Perrone, con il Direttore generale Luigi Guastamacchia. Io sto lì vicino e con mia grande sorpresa Perrone mi fa con la sua vocetta: “Bravo, mi stia vicino”. Per poi borbottare, stizzito e indignato: “Io quello non lo faccio entrare. Sono ancora il legittimo Direttore”. Ci sono, almeno quelli che ricordo, Ruggero Guarini, Pasquale Prunas, il Comitato di redazione al completo: Peppe Gnasso, Gigi Sommaruga, ex corrispondente da Bonn, Marco Politi. E poi i grafici Piergiorgio Maoloni, Claudio Ronchetti, Giulio Bergami. E ancora il rockettaro Fabrizio Zampa.
camicia violetta
Barzini e il suo avvocato entrano in un silenzio glaciale. Perrone gli sbarra il passo. Notazione di costume: Barzini e l’avvocato in inappuntabili completi grigi, Perrone è jejè, come tanti giovanotti di allora, giacca attillata, audace camicia violetta sbottonata sullo scarno petto, adornato, come vuole la moda di allora, da un collanone e medaglione d’oro, cinturone di cuoio alto così. Alla fine l’avvocato di Barzini fa sommesso: “Allora non volete farci entrare”. E Perrone, con tono alto e indignato: ”No, sono io il legittimo Direttore”. E mentre i due si girano, Guastamacchia, tra il perfido e il sarcastico, fa: “Naturalmente, Luigi se vuoi venirci a trovare sei il benvenuto”.
cori scorretti
E qui si scatena un pandemonio. Barzini e il suo legale sono circondati, pressati, spintonati all’uscita, qualche gomitata. Cori non proprio british, oggi si direbbe “politicamente corretti”: “Barzini Rusconi fuori dai coglioni”, oppure, variante “Fanfani Rusconi fuori dai coglioni” e “Messaggero libero”. Perrone con il suo fisico esile cerca di frapporsi, stende le braccia: “No, buoni, fermi”. Insomma, finisce che Barzini viene inseguito per via del Tritone, direzione Piazza Barberini e alla fine comincia a correre per allontanarsi. A quel punto Antonio Sturiale, della Cronaca, salta sul tetto di un’auto parcheggiata e comincia a scandire “Sandrino Sandrino”, ripreso da molti e tre o quattro robusti tipografi acchiappano e si mettono sulle spalle il “principe” che si schermisce: “Ma no, che fate, buoni”. Ma si vede che, sotto sotto, non gli dispiace.
dalle finestre
Stringo. Alcuni mesi più tardi occupiamo il giornale. Turni di giorno e di notte, assemblee a ripetizione. Faremo uscire il giornale il giorno del referendum sul divorzio, in via eccezionale, un gigantesco “No” sulla prima pagina. Poi di nuovo stop. La sera della vittoria del “No”, alla fine di una grande manifestazione a Piazza Navona in cui ha preso la parola anche un rappresentante della redazione (non ricordo chi, mi sembra Felice La Rocca, notista politico e futuro Vicedirettore), un grande corteo raggiungerà Il Messaggero con noi a salutare dalle finestre e dal balcone del primo piano.
Alla fine la situazione si sbloccherà. Il Psi fa da mediatore. Una sera il Cdr -Gnasso, Sommaruga e Politi- salta in macchina e col mandato di trattare va a Napoli per conferire con il segretario del Psi, quel vero galantuomo di De Martino. Sarà vittoria completa. Via Rusconi, al suo posto Eugenio Cefis e la sua Montedison. Sandrino Perrone ha venduto le sue quote (si parla di 27 miliardi, niente di sicuro) e il nuovo Direttore è Italo Pietra, già direttore del Giorno di Milano, ex comandante partigiano. L’ accordo prevede il patto integrativo. Linea democratica, laica, antifascista. Per la prima volta nella storia del giornalismo italiano saranno i redattori a nominare due Vicedirettori. E per la prima volta la redazione esprimerà il gradimento del Direttore.
polemiche furibonde
Ancora. Nessun redattore potrà essere spostato senza il suo consenso e sarà l’ assemblea di redazione a decidere. In più, sancita l’autonomia dei servizi e la loro libera scelta dei servizi da fare, ove possibile d’accordo con il Direttore. Questo non mancherà di suscitare in futuro contrasti e furibonde polemiche. Infine, accordi economici con sostanziosi aumenti uguali per tutti. Lo Specchio, settimanale di destra, ci chiamerà i “maomiliardari” del Messaggero.
Dopo 50 anni non è che le cose siano cambiate, da certi settori toni e argomenti sono gli stessi. E vabbè, che ci vogliamo fare. Il patto integrativo ci sarà invidiato e qualche anno dopo il Cdr di Raffaele Fiengo lo stipulerà al Corriere della Sera. Ecco, da una foto tanti ricordi di una stagione per me significativa e importante, con tante cose buone e altre meno. Ma, sia pure con tanti errori, quegli anni del Messaggero sono stati per me, ma anche per tanti miei cari compagni di lavoro, la mia vita, una grande e entusiasmante esperienza professionale. Anni irripetibili.
Poi sono cambiate tante cose, non sempre in meglio. Ma questa è un’altra storia, come diceva Kipling. E non voglio fare, quasi ottantenne, la figura del vecchio che “eh ai tempi miei…”.
(nela foto, prima pagina del Messaggero per il referendum sul divorzio, maggio 1974)





