Vittorio Roidi lascia il Consiglio di disciplina del Lazio e invia qualche messaggio ai nuovi componenti del Consiglio regionale del Lazio. Già Presidente Fnsi, già segretario dell’Ordine nazionale, già presidente della Fondazione Murialdi, giornalista radiofonico Rai con Sergio Zavoli, capocronista e caporedattore del Messaggero, (promotore di questo sito), Roidi vorrebbe una maggior attenzione dell’Ordine per segnalare violazioni della deontologia. Vorrebbe maggior equità nelle sanzioni a chi non ha effettuato la formazione prescritta per legge. Maggiore puntualità nella segnalazione dei giornalisti che violano il divieto di fare pubblicità. Maggiore vigilanza sull’utilizzo spregiudicato dell’intelligenza artificiale. 

Segnala poi che il Consiglio di disciplina non ha neanche una stanza per lavorare e dispone di un solo impiegato per lo svolgimento di tutte le pratiche. 

analisi comune

“Cari colleghi -comincia la lettera inviata a Guido D’ubaldo, Roberto Rossi, Serena Bortone, Anna Laura Bussa, Carlo Picozza, Francesco Repice, Sara Menafra, Manuela Biancospino- al termine del mio impegno nel Consiglio di Disciplina territoriale, per il triennio 2022-2025 e dopo aver spiegato al presidente D’Ubaldo di non essere disponibile per un eventuale reincarico, ho pensato di inviarvi alcun osservazioni, nella speranza di fare cosa utile al funzionamento dell’Ordine al quale sono iscritto”.

Prima constatazione: “In tre anni il Consiglio regionale non ha ritenuto opportuno fare neppure una volta un’analisi comune, tutti insieme, dell’etica del giornalismo e dei problemi deontologici della categoria. Come se, in seguito all’approvazione della legge che qualche anno fa assegnò al Consiglio di Disciplina il compito di esprimere il giudizio finale sui colleghi, il Consiglio regionale avesse ritenuto di non doversi occupare dei giornalisti ‘malfattori’, di come trovarli e sanzionarli. Al contrario, le legge n.69 del 1963 all’articolo 2 afferma che le funzioni relative alla disciplina degli iscritti sono esercitate dal ‘Consiglio dell’Ordine, secondo le norme della presente legge’, mentre all’articolo 11 fra le attribuzioni del Consiglio dice che esso ‘vigila sulla condotta e sul decoro degli iscritti’”. 

partiti politici

Vale a dire -secondo Roidi- che “nel Lazio il Consiglio regionale aspetta che qualcuno dall’esterno valuti articoli, titoli, interviste ritenuti anomali. In realtà sia la legge 148 del 2011 sia il regolamento governativo di attuazione affidano ai Consigli regionali il potere di vigilanza mentre a quelli di disciplina hanno inteso assegnare il compito di decidere in ultimo il verdetto, vale a dire assolvere o sanzionare il giornalista segnalato”. Di conseguenza -sostiene Roidi- “il Consiglio regionale non esamina, ad esempio, né i disastri compiuti dalla pubblicità straripante; né il rapporto fra i partiti politici e alcuni giornalisti (che si sono ‘fidanzati’, come li definisce il sociologo della comunicazione Mario Morcellini); e neppure valuta l’utilizzo sempre più frequente dell’Intelligenza artificiale e l’uso di novità tecnologiche meravigliose ma molto pericolose. C’è un giornale che ha mandato in edicola pagine quotidiane interamente figlie dei robot. Non ci sono stati interventi, neppure ‘avvertimenti’”. 

esaminati gli “zeristi”

Secondo punto: “Molto arduo è stato valutare e punire (con le procedure meticolose dettate dalla burocrazia) le centinaia di colleghi che non avevano soddisfatto l’obbligo della formazione continua. Sono stati esaminati solo gli ‘zeristi’ (quelli che non avevano ottenuto alcun credito nel triennio), ma è del tutto evidente che si tratta di un’altra materia nella quale è necessaria una modifica della disciplina, affinché risulti più facile far rispettare l’obbligo alle migliaia di trasgressori”. 

Terzo: “Il Consiglio di Disciplina non è inserito in un apparato operativo, non rientra nella struttura dell’Ordine, non ha una sede, non possiede strumenti”: “I ‘giudici disciplinari’ quando si devono riunire chiedono una stanza per poter esaminare un caso, ascoltare un testimone o il relatore, talvolta per votare. Per il resto lavorano solo da casa, telefonano, inviano email, cercano di mettere a fuoco gli elementi del fatto, sui quali impostare le proprie valutazioni e decisioni. Nel triennio appena trascorso i nove consiglieri nominati dalla Corte d’Appello hanno avuto a disposizione esclusivamente il signor Francesco, molto bravo ed efficiente, ma purtroppo solo. Qualsiasi atto istruttivo o amministrativo passa attraverso le mani di questo unico dipendente. Il quadro spiega quanto siano difficili gli accertamenti che i tre Collegi dovrebbero realizzare, che senza mezzi e persone diventano spesso irrealizzabili”.

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