di ELETTRA BERNACCHINI 

Quante strade possono essere percorse per cercare di risolvere la crisi del settore informazione. Tagli alle redazioni, iperproduzione di contenuti, nuove strategie di narrazione ed engagement attraverso i social network, nuove forme di giornalismo. Il punto di partenza del ragionamento è: “Non esiste una sola soluzione”. A parlare è Gabriele Cruciata, freelance di 29 anni, romano, vincitore nel 2020 del Premio Roberto Morrone, insieme alla collega Arianna Poletti, per il podcast d’inchiesta “Buco Nero”, sull’attività online dei suprematisti italiani. 

“La mia fortuna –racconta Gabriele– è stata capire molto presto che volevo fare questo mestiere, pur avendo una famiglia estranea al mondo del giornalismo. Ho pubblicato i primi pezzi pochi mesi dopo la maturità”. Formatosi inizialmente da autodidatta, dopo una laurea in Scienze Politiche a Roma si è trasferito in Olanda per un master. “L’impostazione – spiega – era di stampo anglosassone. Oltre al lato pratico dei corsi, è stato molto utile apprendere le nozioni teoriche, dalla storia del giornalismo alla sociologia”. 

fondi europei

Nel 2020, a causa della pandemia, Gabriele è rimasto bloccato in Italia: “Presto ho realizzato che il mio percorso fino ad allora era stato piuttosto originale, cosa che mi ha permesso di trovare spazio per lavorare, nonostante il momento difficile”. Una seconda fortuna, sostiene Gabriele, è stata incrociare il cammino con persone che hanno intuito il suo potenziale e gli hanno dato fiducia. Slow News e Irpimedia sono due delle realtà italiane con cui oggi collabora, oltre a diverse testate straniere (ha lavorato per Mediapart, France 2, Die Zeit, Sveriges Radio, Trouw, Vice internazionale). 

Tale condizione di “freelance internazionale” gli dona un punto di vista in un certo senso privilegiato sullo stato di salute dell’informazione nostrana. “Percepisco molte differenze tra l’impostazione italiana e quella estera: anagrafiche, retributive, ma anche di visione giornalistica in generale, che si ripercuote sul modo di lavorare quotidiano”. Gabriele ha sviluppato un suo metodo basato sui principi dello “slow journalism” e quindi: approccio analitico ai temi, approfondimento, verifica accurata delle fonti, distanza dalla logica delle breaking news, linguaggio asciutto. Uno dei suoi ultimi lavori ha riguardato l’utilizzo improprio dei fondi europei destinati all’assistenza agli anziani. “Sono stati pubblicati tre pezzi -racconta- Nei primi due è stato sollevato e approfondito il problema, nel terzo ho parlato di una Rsa abruzzese che è riuscita a sopravvivere e a espandersi, con risultati concreti, anche dopo aver esaurito i finanziamenti”.  

morte di un ex partigiano

Un caso, potremmo dire, di “giornalismo lento” abbinato al “giornalismo delle soluzioni”. Se anche in Italia esistono a tutti gli effetti testate che rispettano questi (o simili) criteri qualitativi dell’informazione, il problema, secondo Gabriele, è che un modello virtuoso, una “mentalità” di questo tipo “non è mai stata messa a sistema”. L’esempio che Cruciata fa è la notizia della morte dell’ex-partigiano torinese di 104 anni Bruno Segre, uscita lo scorso agosto e rivelatasi falsa nel giro di poche ore: riguardava in realtà un omonimo, il filosofo e storico dell’ebraismo Bruno Segre, milanese, scomparso a 93 anni. “Ci può stare che uno si confonda –dice- ma non che la notizia venga pubblicata, poiché era molto facile verificarla. Si trattava di un personaggio rilevante a livello locale: è impossibile che i giornali non trovassero il contatto con un familiare a cui chiedere conferma o smentita. Eppure nessuno ha pensato di farlo, perché l’idea di verificare sempre non è messa a protocollo. Nei contesti esteri questo è impensabile. Per dire, quando pubblico con le testate straniere spesso devo trasmettere i contatti delle mie fonti, affinché le redazioni possano verificare che io abbia fatto davvero le interviste”. 

tempo e risorse

Per Gabriele la priorità è poter essere giornalista alle sue condizioni, secondo il suo metodo e con la possibilità di organizzare tempo e risorse: ora ci sta riuscendo da freelance, ma non esclude il lavoro dipendente, se avrà la garanzia di non dover venir meno ai suoi principi. Dal 2022 è anche impegnato per conto del progetto Google News Lab come formatore di altri giornalisti. “Esistono –spiega- tantissimi strumenti digitali, anche gratuiti, che possono essere sfruttati da chi fa informazione. Il mio compito è studiarli approfonditamente e insegnare agli altri come utilizzarli”. 

L’esperienza di Cruciata è sintomatica di quanto e come stia cambiando il lavoro dei giornalisti: a spuntarla, con risultati più o meno solidi, sono coloro che riescono ad adattarsi velocemente. “Per me –conclude Gabriele– concentrarmi più sul come fare informazione che non sul cosa trattare è stata la strategia vincente. Non so come questa cosa sia percepita da fuori, soprattutto in Italia, e non so se consigliarla agli altri. Su di me funziona, perché ho la possibilità di parlare di un tema qualsiasi, dopo un periodo di ricerca, sapendone abbastanza per poterne scrivere e senza risultare distaccato rispetto a chi legge. Credo infatti che il giornalista sia un collante tra chi non sa niente di qualcosa e chi invece sa tutto”.

(nella foto, Gabriele Cruciata)

LASCIA UN COMMENTO