di ANNA LANGONE

C’è chi ci modella la giornata, chi le guarda ogni ora e ne fa dipendere il proprio lavoro. Ma sempre di più c’è chi, incredibile, le controlla una volta a settimana. Il podio spetta a quanti ai messaggi di posta elettronica non rispondono affatto.

Le e-mail, un fenomeno in via di estinzione. O in via di diventare marginale. Fatto particolarmente grave per i giornalisti, perchè le e-mail sono un elemento di difesa naturale della loro professionalità. Principali accusati: WhatsApp, vocali ed altri messaggi veloci, scelti per risparmiare tempo e voce.

Le e-mail danno e hanno lo spazio per descrivere fatti ed eventi a chi, dopo averli compresi (passaggio che spesso salta con la messaggistica veloce), dovrà proporli al vasto pubblico dei lettori. 

trecento al giorno

Si calcola che i giornalisti occupati ricevano fino a 300 e-mail al giorno e più del 95% dei 400 intervistati in un’indagine di Eco della Stampa e Mediaddress ha risposto che preferisce essere contattato via e-mail, lasciando nell’angolo telefono e social, WhatsApp compreso, considerato inadeguato. Nel mondo circolano più o meno 350 miliardi di e-mail al giorno, ma nella realtà tutti sperimentiamo la vita grama degli indirizzi con chiocciola e punto it (o com, net ecc). La riprova? Semplice: di solito prendiamo accordi telefonici per un’intervista, seguiti dalla posta elettronica per l’invio di domande, scambio di materiale ecc. Gli sviluppi? L’interlocutore, che dovrebbe essere interessato anche lui, legge poi l’e-mail concordata a metà, oppure, se va bene, guarda soltanto gli allegati, ignorando la premessa scritta in chiaro, ma non manca chi, all’ennesima sollecitazione, risponde “Ah, ma io quella mail non l’ho ricevuta”, e magari era una PEC! 

educazione e supponenza

Come se fosse ancora possibile eludere tutti gli strumenti disponibili per verificare lo stato della posta. Eppure accade: c’entrano educazione, rispetto, supponenza ed altre caratteristiche che il web amplifica, ma è certo che da quando gli smartphone avvisano (o dovrebbero) dell’arrivo di nuove e-mail, sono nati altri alibi a uso dei non-lettori di e-mail, giornalisti, addetti stampa, portavoce, agenti, road e tour manager, fac totum di artisti famosi e non. Cosa c’è di più snervante di non sapere quando si potrà fare quell’intervista che blocca la pagina? Telefonate e messaggi ormai esauriti, a meno di non voler passare per stalker (eppure dall’altra parte c’è un collega!). Quanto è mortificante dipendere da uno scrolling che qualcun altro non fa o finge di non fare? Tanto potrà sempre dire che lo smartphone non gli invia più le notifiche. 

documenti riservati

In questo panorama sconfortante brilla WhatsApp. In fondo due brevi vocaboli inglesi, di fatto la seconda frase di ogni conversazione, due parole promosse in velocità a veicolo di tutto. Si calcola che la metà degli utilizzatori della posta elettronica sia passato ai messaggi istantanei, anche se non garantiscono dati e sicurezza. A voler addossare anche questa mutazione alla pandemia, bisognerà ammettere che è comodo avere un agile sistema di comunicazione parallelo mentre si è impegnati in una call, o nello smart working, ma vogliamo considerare le conseguenze? Risulta che nelle aziende (e anche giornali, siti d’informazione, Tv lo sono) il 52% degli interpellati invii persino documenti riservati via WhatsApp, peccato che almeno 24 volte su 100 arrivino alle persone sbagliate. Soltanto uno dei nei di una situazione finita fuori controllo, che annulla, per dirne una, le norme sulla privacy. 

Chissà, forse anche per questo, da giornali ed altri media sono scomparse, dopo i numeri di telefono, le e-mail di redazione, minando quel rapporto lettore-cronista che è da sempre una fonte importante.

LASCIA UN COMMENTO