“Guardian owner apologizes for founders’ links to slavery”. La proprietà del Guardian si scusa per i legami dei fondatori con la schiavitù. 

Prima pagina dello storico quotidiano inglese, 29 marzo 2023. Scuse che arrivano due secoli dopo, ma che rivelano una consapevolezza importante di una parte della società britannica. 

Il Guardian annuncia anche un programma decennale da dieci milioni di sterline per compensare e riparare i danni che furono causati. In un editoriale, Katharine Vinerm, direttrice del giornale scrive: “Chiediamo scusa per il fatto che i nostri fondatori hanno tratto la loro ricchezza da una pratica che era un crimine contro l’umanità. Questo terribile passato deve rafforzare la nostra determinazione a usare il giornalismo per denunciare il razzismo, l’ingiustizia e la disuguaglianza”.

uomo d’affari

Sotto accusa ci sono John Edward Taylor, l’uomo d’affari di Manchester che nel 1821 fondò il Guardian e alcuni suoi finanziatori. Ole Jacob Sunde, presidente dello Scott Trust, il fondo proprietario del Guardian, ha detto: “Siamo profondamente dispiaciuti del ruolo che hanno avuto nel commercio del cotone. Rendere pubblici questi fatti e scusarsi è soltanto il primo passo nell’affrontare i legami storici di questo giornale con lo schiavismo”. 

Nel 2020 The Guardian ha commissionato alle università di Nottingham e Hull una specifica ricerca e gli studiosi hanno appurato che Taylor e una decina di suoi finanziatori acquistavano cotone da piantagioni di schiavi situate nelle isole davanti agli stati americani della Georgia e South Carolina e dalla Giamaica. 

Perdita di proprietà umana

“Fra le prove raccolte -ha scritto Enrico Franceschini su la Repubblica- risulta che nel 1835 Sir George Philips, socio di Taylor, chiese al governo britannico un indennizzo per la ‘perdita di proprietà umana’, vale a dire 108 schiavi, dopo l’abolizione dello schiavismo da parte del parlamento di Londra”. 

La ricerca ha identificato alcuni degli schiavi delle piantagioni controllate dai padroni del Guardian, come Toby, che aveva 90 anni, Clarinda, 50 anni, Billy 36 anni e Nancy, che aveva solo sette anni (l’uso era di chiamare gli schiavi soltanto per nome): venivano tenuti in prigionia e costretti a raccogliere cotone nella piantagione di Hilton Head. Un altro schiavo, Granville, faceva parte di un gruppo di 60mila protagonisti di una rivolta in Giamaica, “la ribellione di Natale”, che influì sulla decisione britannica di abolire la schiavitù. 

quattro obiettivi

Quale sarà adesso la riparazione? Il fondo da dieci milioni di sterline (11 milioni e mezzo di euro) messo a disposizione dallo Scott Trust finanzierà progetti in Giamaica e in altre 4 aree in America e nei Caraibi, con quattro obiettivi: aumentare la consapevolezza sullo schiavismo; sviluppare la diversità etnica nei media; sostenere altri progetti di ricerca sul tema; migliorare le cronache e le inchieste del Guardian sullo sfruttamento umano. Lo Scott Trust è un fondo da 750 milioni di sterline lasciato come eredità dai fondatori del Guardian.

Nel 2020 l’ondata di revisione sul passato schiavista dell’Inghilterra investì i palazzi reali. In una intervista al Times Lucy Worsley, curatrice di Historic Royal Palaces, l’ente che si occupa delle residenze della monarchia, spiegò che “tutte le proprietà che risalgono alla dinastia Stuart contengono un elemento di denaro derivato dalla schiavitù”. Gli Stuart erano strettamente legati al commercio degli schiavi: re Carlo II diede il sigillo reale alla Royal African Company, che detenne il monopolio della tratta degli schiavi fino al 1698 e continuò a praticarla fino al 1731: e fra i membri della Royal African Company c’era il fratello di Carlo II, che poi salì al trono come Giacomo II. Il commercio degli schiavi venne bandito in Gran Bretagna solo nel 1807, ma si dovette attendere fino al 1834 per abolire la schiavitù. Lucy Worsley si è occupata in particolare di Kensington Palace, dove abitano William e Kate, dove hanno abitato Harry e Meghan, dove  teneva corte la principessa Margaret, sorella della regina Elisabetta. Il palazzo venne acquistato e rimodellato da re Guglielmo III, che aveva ricevuto dal mercante di schiavi Edward Colston azioni della Royal African Company. 

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