Il test di Salvagente del 2015 sull’olio era rispettoso dei limiti e dei principi deontologici e lungi dal trarre in inganno i lettori, ha fornito loro un dettagliato e veritiero resoconto delle verifiche, effettuate sugli olii esaminati. Il test fotografava che 9 bottiglie di “extravergine” su 20 esaminate contenevano in realtà  semplice olio “vergine”.

Si è chiusa così, con la pronuncia del giudice del Tribunale di Spoleto Federico Falfari, la causa civile di I grado promossa dall’azienda Coricelli nei confronti del Salvagente e di Enrico Cinotti, che aveva firmato l’inchiesta e di Repubblica e della giornalista Caterina Pasolini, che ne avevano anticipato i risultati.

L’azienda olearia aveva chiesto un risarcimento di 20 milioni di euro per tutti i danni sofferti da quella che riteneva un’azione diffamatoria e lesiva della reputazione, dell’onore e della dignità e/o del decoro della Coricelli.

Una richiesta che il giudice ha rigettato , condannando la Coricelli a pagare poco meno di 60mila euro di spese tanto al Salvagente che a Repubblica.

Nel 2021 Salvagente ha condotto un nuovo test sull’olio extravergine e ha trovato ancora una volta molti oli sugli scaffali che non potevano essere definiti extravergini (7 su 15, compreso ancora una volta quello Coricelli): le reazioni delle industrie produttrici hanno portato a una sanzione nei confronti della testata da parte dell’Antitrust. L’Autorità ha deciso di ammonire il Salvagente, considerando i test non come inchieste giornalistiche, ma come pratiche pubblicitarie.

Al contrario, per il Tribunale di Spoleto, chiamato a giudicare il lavoro del 2015, si trattava di giornalismo di inchiesta. 

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