di ANNA LANGONE

Smart working, lavoro agile, a distanza? No, quiet quitting, “abbandono silenzioso”, figlio, nipote, ma anche antagonista dei modi altri di lavorare imparati durante la pandemia. Nei due vocaboli inglesi l’assonanza al significato: calma, quiete, un atteggiamento che può significare anche rinuncia, l’ultima tendenza che starebbe insinuandosi tra scrivanie e computer, anche delle redazioni.

Si tratta del rimanere in presenza al lavoro (non potendo accedere allo smart working) senza fare neanche una virgola, un secondo in più di quanto stabilito dal contratto, una sorta di mini-sciopero bianco che serve a ristabilire limiti precisi tra attività lavorativa e vita privata. Ne parla il prestigioso The Economist come l’ennesimo demone lasciatoci in eredità dal Coronavirus, scelta che diventa risposta disarmata ma indispettita al diniego dell’occupazione in remoto, salvagente di milioni di vite nel mondo negli ultimi tre anni. Tutti conosciamo persone che, come dire, fanno il minimo indispensabile, ma il quiet quitting è una cosa diversa, dal vivere per lavorare ad esempio e nel nostro mondo social non poteva mancare il contributo di Tik Tok che al grido, si fa per dire, di #quiet quitting, ha ottenuto milioni di consensi.

accordi singoli

Di certo, giornalisti e poligrafici preferirebbero conservare lo smart working e protestano per questo, perché le aziende editoriali non lo vogliono. Dal primo settembre scorso, per legge, le aziende non possono più decidere in autonomia l’organizzazione del lavoro, com’era avvenuto appunto durante l’epidemia da Covid 19: per lavorare da casa è necessario un accordo tra azienda e singolo dipendente, come prima dell’emergenza epidemiologica. Il punto è proprio questo. Pur mettendo da parte gli strascichi sanitari che ancora preoccupano, i quasi tre anni di attività lavorativa limitata non ci sono scivolati addosso, meno che mai fra open space, computer e scrivanie di Tg, giornali, siti, angoli di tavoli da cucina dove sono cresciute anche quelle professionalità che ora potrebbero accedere al tesserino dell’Ordine senza la gavetta del precariato, o la sempre più difficile assunzione pre-praticantato. Il lavoro agile però ha aperto a centinaia di giornalisti un mondo che non avevano considerato e che non vorrebbero perdere, non del tutto almeno. Il risvolto umano e professionale conta per chi lo vive sulla propria pelle, meno per quanti s’informano sui media e sono poco interessati allo stato d’animo di firme e mezzibusti. 

incremento di produttività

Il popolo di lettori, telespettatori e navigatori ignora, nella maggior parte dei casi, che forse la maggioranza dei cronisti a casa rimane comunque, anche due-tre giorni a settimana, per fare la cassa integrazione che, chi più chi meno fra quotidiani, settimanali, mensili, continua ad applicare insieme agli esodi anticipati con i prepensionamenti, quasi mai evitabili dai diretti interessati. E allora non è la mancata presenza in redazione a disturbare le aziende editoriali, ma l’idea che il lavoro a distanza sia un’attività meno controllabile e per questo meno produttiva. Tanti studi dimostrano il contrario: la californiana Stanford University ha appurato che il lavoro agile ha ridotto del 35% le dimissioni e migliorato la soddisfazione dei lavoratori, solo due dei tanti aspetti positivi; in Italia Variazioni (società pioniera nella diffusione dello smart working) ha dedotto, dall’ascolto di circa 300 responsabili delle risorse umane, che più del 55% delle aziende ha scelto il lavoro agile e numerose altre analisi italiane e straniere registrano incremento di produttività, diminuzione delle richieste di aumento salariale e dell’inquinamento ambientale, ripopolamento di zone prima svuotate dalla fuga nelle città.

E allora, con lo smart working bloccato, ecco il rifugio rinunciatario del quiet quitting che, a sentire gli esperti, avrebbe comunque un risvolto positivo nel pendolarismo, in quanto occasione di movimento soprattutto se ci si sposta con mezzi di trasporto leggeri, o in treno e a piedi, creando un salutare stacco tra tran tran familiare e scrivania. L’ennesima confusione ingenerata dal virus del secolo è servita.

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