di SOFIA GADICI

Giammarco Sicuro, 39 anni, toscano, inviato del Tg2, ama raccontare l’attualità realizzando reportage, scovando vicende meno note, “piccole storie” sempre emblematiche.

“Il modello all news non fa per me – spiega – cerco sempre di muovermi e trovare volti e dettagli che diano una chiave di lettura diversa”. Nei giorni in cui la Russia invadeva l’Ucraina si trovava proprio a Mosca, da lì ha raccontato un paese spaccato in due, “anche se non so dire in che misura” chiarisce: “C’erano quelli a favore dell’invasione e quelli, soprattutto i più giovani, che si sono opposti”. Ha raccontato le manifestazioni pacifiste, gli arresti, la fuga di chi non accettava la politica di Putin. Poi è stato fermato e interrogato anche lui, così ha deciso di andare via. “Tornato in Italia mi è stato chiesto di andare in Ucraina. Ero libero di accettare o no, ho deciso di partire. Anche perché non c’era la fila… diciamo”, confessa ridendo. 

scuola di Urbino

Lui è in Rai dal 2008, dopo aver frequentato la scuola di giornalismo di Urbino ha fatto molte esperienze, ma il suo sogno è sempre stato quello di diventare un inviato di esteri: “Così unisco le mie due passioni, viaggiare e raccontare”. Ha seguito fatti di cronaca come il naufragio della Costa Concordia e il terremoto del centro Italia. È stato spesso in Sud America e poi anche in Afghanistan: “Sono stato in zone critiche, ma mai in guerra. Prima di partire mi sono fatto tante domande. Mi sono chiesto se sarei stato in grado di gestire il lavoro, la paura, se sarei stato in grado di fermarmi al momento giusto. Ho pensato agli affetti che avrei lasciato a casa, ma poi ha prevalso la passione, l’orgoglio per la mia professione, l’importanza di raccontare per depotenziare la propaganda”, spiega.

In Ucraina è stato nel Donbass, a Mykolaiv, a Severodonetsk e a Odessa. Ha raccontato l’anima degli ucraini che “non accettano l’idea di cedere qualcosa. Sono uniti attorno al loro presidente e vogliono riprendersi tutto”. Ma in Donbass ha conosciuto anche chi aspettava i “fratelli russi” da anni, ha percepito le tante differenze all’interno della comunità che vive in quella regione e la complessità della situazione. “Nonostante queste differenze, però, ciò che emerge dai miei racconti, il filo rosso che lega tutte le storie in cui mi sono imbattuto, è che la guerra fa schifo. Ho visto e raccontato la disperazione, i volti di chi scappava, la sofferenza dei civili, soprattutto quelli delle fasce più deboli della società, cioè quelli che la guerra la subiscono di più. Mi hanno colpito le storie dei bambini, gli ospedali in cui venivano curati, le loro condizioni pietose nei bunker, quelli rimasti senza famiglia. Ricordo poi un piccolo villaggio abbandonato nel sud del paese. Le case erano vuote, erano rimasti solo gli animali che vagavano per le strade. Cani, gatti, mucche e pecore, tutti destinati a morire di fame”.

macchine blindate

Riguardo al suo lavoro sul campo, chiediamo se si sia sentito sufficientemente preparato a operare in una zona di guerra, se avesse seguito dei corsi specifici, se avesse un supporto esterno adeguato: “Ho fatto un corso anni fa, non credo sia stato sufficiente. Ho dovuto affrontare tanti problemi apparentemente sciocchi, ma che in realtà sono vitali: mancanza di benzina, cibo, luce e tempo. In generale credo che noi giornalisti italiani siamo molto meno preparati rispetto ai colleghi stranieri. Ho visto troupe con macchine blindate, budget importanti, numerosi collaboratori. Rispetto alla loro organizzazione mi sembra che noi andiamo ancora un po’ allo sbaraglio”. 

Poi spiega nello specifico l’organizzazione quotidiana del lavoro: “Il tempo è sempre poco. Sveglia all’alba, poi servizi e collegamenti dalle 7 alle 24 per tg, radio, siti, programmi. Malgrado questo, ho sempre cercato di ricavarmi del tempo per cercare e raccontare storie e approfondimenti a modo mio, cioè fare quello che credo sia più indicativo in questi contesti”. Come molti colleghi, anche Sicuro ribadisce l’importanza di non trascorrere lunghi periodi sul campo: “Occorre tornare a casa, alla vita normale e agli affetti, per evitare che si crei un disequilibrio, una perdita di lucidità, conseguenze psicologiche anche inconsce, che poi mettono a rischio te e il tuo lavoro”. 

Ora è in Italia ma è deciso a tornare presto in Ucraina. In ultimo, chiediamo un giudizio sul giornalismo italiano e il modo in cui questo sta raccontando la guerra. “Tendiamo sempre verso un giornalismo di opinione, ricco di enfasi e pathos. A mio avviso sarebbe necessario essere più obiettivi, evitare il tifo da stadio. Dovremmo essere più rispettosi verso i fatti e le persone coinvolte in essi. Al giornalismo urlato preferisco lo stile accurato e neutro della Bbc”.

(nella foto, Giammarco Sicuro)

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