di CHRISTIAN RUGGIERO

Come affrontare un tema come l’erosione dei confini tra giornalismo e pubblicità? Un processo sotto gli occhi di tutti da decenni, che agita il dibattito interno alla professione al punto che “The Wall”, il muro di simbolica e al tempo stesso concreta separazione tra la redazione e il comparto pubblicità, rischia di diventare un fortino buzzatiano per alcuni strenui difensori della regola giornalistica, mentre i fautori della contaminazione e convergenza tra le professioni dell’informazione e del marketing rischiano a loro volta di finire a giocare uno sport diverso da quello della federazione di iscrizione. Uno dei casi, sociologicamente assai rilevanti, in cui la pratica sociale corre più veloce del quadro normativo – inteso in senso ampio, non unicamente in quanto riferimento ai corpora di regole codificate in leggi. 

tre temi

L’esperienza dei soggetti coinvolti, il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma e la Fondazione sul Giornalismo “Paolo Murialdi”, ha condotto a una scelta precisa: una chiamata di tesi, e la messa alla prova dei temi-chiave attraverso i quali analizzare lo stato del rapporto tra informazione e pubblicità individuati da professori e professionisti. Ne è derivata una preziosa occasione di focalizzazione dell’attenzione su due dei temi scelti, l’affinamento degli strumenti e dei punti di vista attraverso il confronto con le “nuove leve” e perfino (rischioso?) ampliamento del campo d’indagine. 

L’attenzione si è dunque concentrata su tre temi:

  • il progressivo spostamento del confine tra cronaca di un evento e produzione di branded content e la “seconda vita” dei pubbliredazionali, incarnato in due ricerche distinte e coerenti, centrate sulle relazioni tra il settore delle pubbliche relazioni e il giornalismo e sullo specifico del brand journalism; 
  • le diverse strategie adottate dalle testate che prevedono supplementi dedicati alla moda, agli eventi, al cibo e in generale al lifestyle, che ha trovato utili declinazioni nel caso della Milano Fashion Week 2022 e nella ricognizione sui supplementi di moda; 
  • il modello di business delle testate “only social”, interamente immerse nella logica algoritmica che le testate tradizionali scelgono di inseguire in un’ottica di visibilità e di creazione di community, non certo di monetizzazione.

allo stesso livello

Al centro di questa riflessione, Andrea De Rosa, Leonardo Giorno, Alessandro Luna, Elisa Pandolfi e Sara Vasto, i tesisti dei Dipartimenti di Comunicazione e Ricerca Sociale e di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo della Sapienza. Che hanno discusso dell’impianto del proprio lavoro e delle possibili direzioni da intraprendere lo scorso 12 maggio, in un seminario pubblico intitolato The Wall. Quale confine tra informazione e marketing? E che hanno ricevuto dai discussant intervenuti un plauso che è un’assegnazione di grande responsabilità per aver scelto di muoversi in un campo ultradibattuto con un punto di vista nuovo, che – sottolinea Daniele Chieffi –, parte dall’assunto che il giornalista non è più l’unico soggetto autorizzato a fare informazione, e che una regolamentazione dei flussi che attraversano la società dei social network e delle piattaforme deve partire proprio da questo. Nella misura in cui tanto i singoli utenti quanto i soggetti provenienti dal mondo del business fanno informazione allo stesso livello del giornalista, occorre coltivare una consapevolezza della responsabilità di chi fa informazione che coinvolga anche questi nuovi soggetti. Al tempo stesso, il ruolo del giornalista, apparentemente marginalizzato, torna centrale da un lato nella capacità di muoversi in un mondo delle Pubbliche Relazioni che non è solo ufficio stampa, ma quell’insieme di attività dentro e fuori il sistema dei media che va sotto il nome di stakeholder engagement; dall’altro nella ripresa di importanza delle tecniche giornalistiche, e del “fiuto” giornalistico per la rilevanza di un tema, applicate alla comunicazione d’impresa, che ridefiniscono i rapporti di forza di quello che possiamo chiamare brand journalism. 

distacco dal compito

Altrettanto impegnativa la riflessione affidata a quanti hanno scelto di muoversi nell’ambito di quello che ricade sotto l’etichetta di lifestyle journalism. Giorgio Zanchini, dal suo osservatorio privilegiato sulle mutazioni del giornalismo culturale a livello nazionale e internazionale, sembra salutare con favore la demolizione del muro tra la redazione e il reparto marketing. Le pagine culturali soprattutto italiane hanno infatti subito un progressivo distacco dal proprio compito originario, dare senso a ciò che accade all’interno della società, man mano che la loro autonomia dalle dinamiche di vendita si trasformava in sordità verso gli interessi del pubblico. Per converso, la corrispondente crescita d’importanza delle pagine dedicate al tempo libero, alimentate dai temi che la società dei consumi poneva sul tavolo, ha posto il problema di offrire, da queste pagine dedicate al lifestyle, un contributo giornalisticamente situato all’alimentazione di quella sfera pubblica culturale che da sempre s’interfaccia, da posizioni di forza sempre meno impari, a quella politica. 

rapporto con le piattaforme

Ultimo ma non ultimo il tema del rapporto di forza con le piattaforme. Tanti i temi che riguardano questo confine estremo del giornalismo e dei rapporti di forza tra il giornalismo e la pubblicità. Anzitutto, la possibilità di situare il braccio di ferro tra informazione e pubblicità in un campo di forze totalmente rivoluzionato, quello delle piattaforme, che – ricorda Chieffi – da un lato non hanno interesse ad avere un controllo diretto sull’informazione, ma dall’altro impongono forme di autocensura per non far scattare le policy di controllo sui contenuti che vengono pubblicati. Poi, la possibilità di applicare una delle categorie fondamentali della “misurazione” del contributo dei newsmedia alla dialettica democratica, che come ricorda Anamaria Nicola è il principio di trasparenza, a un contesto come quello delle piattaforme, in cui le dinamiche di monetizzazione introducono livelli di opacità incomparabili con quelli che la ricerca ha sin qui dovuto affrontare. 

Stimoli e critiche dalle quali emerge un quadro certo complesso, che finisce per ribadire la necessità dalla quale ha preso le mosse il progetto in comune tra il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma e la Fondazione sul Giornalismo “Paolo Murialdi”: preso atto della caduta del muro tra informazione e pubblicità tradizionalmente inteso, individuare cosa possa e debba prenderne il posto. A partire, auspicabilmente, dagli spiragli sul futuro che le tesi di Andrea, Leonardo, Alessandro, Elisa e Sara potranno aprire. 

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