Resistenza all’Espresso. Con un articolo di tre pagine fitte dell’ex direttore (2010-2014) Bruno Manfellotto. E con un comunicato del Comitato di redazione. 

Le notizie sono tante. Numero uno, il Cdr rivela che, secondo gli accordi di vendita, “spetterà al Gruppo Gedi il diritto di veto sull’eventuale nomina di un nuovo direttore del giornale”. Per ora il direttore è Lirio Abbate, già vicedirettore, nominato subito dopo le dimissioni del direttore Marco Damilano. Per un anno, inoltre l’Espresso continuerà a essere venduto in allegato con la Repubblica, tutte le domeniche. “Ci troviamo dunque di fronte -commenta il Cdr- a un’inedita co-gestione, che rende molto difficile il sereno lavoro dell’intero corpo redazionale”.

Numero due, tornano le firme dei redattori, “per rispetto dei lettori e per rimarcare l’impegno che i giornalisti e la redazione continuano a mettere nella costruzione di questo settimanale”. La settimana scorsa L’Espresso era uscito senza firme, per protesta dopo la vendita da parte del Gruppo Gedi di John Elkann al Gruppo Bfc Media, controllato da Danilo Iervolino (ex Università telematica Pegaso). Prosegue però lo stato di agitazione, in mancanza di nuove informazioni sul passaggio di proprietà, “annunciato ormai da venti giorni” e in mancanza di garanzie sul futuro.

comunità unica

Numero tre, il Cdr annuncia che nei prossimi giorni sito e giornale ospiteranno “interventi di personalità e di lettori che hanno a cuore il futuro della testata e costituiscono la comunità che ieri come oggi rende unico L’Espresso”. Un dibattito per tenere vivo lo lo “scandalo” della separazione dell’Espresso dalla Repubblica (che in realtà era una sua derivazione), per tenere alta l’attenzione sui progetti del nuovo acquirente, ancora non spiegati con chiarezza.

Poi, c’è l’articolo di Manfellotto, “Una certa idea di democrazia”. Manfellotto dalla fine della sua direzione collabora con il settimanale, ma stavolta apre lo sfoglio, subito dopo l’editoriale del direttore (che non parla dell’Espresso). A corredo, le copertine storiche, da “Capitale corrotta, nazione infetta”, a “Segni e De Lorenzo preparavano il colpo di Stato”, “Aborto una tragedia Italiana”, “Fuori i mercanti dal tempio”. Il pezzo è sentimento, ricostruzione storica, protesta civile. La decisione di cedere la testata -dice Manfellotto- ha provocato in lui “dolore, tristezza, disorientamento, rabbia. E anche una certa ingenua sorpresa”. Perché nella E dell’Espresso “si riassume la storia di un formidabile gruppo editoriale”, quella E rappresenta -citando Scalfari ed Ezio Mauro- “una certa idea dell’Italia”. Nella sede dell’Espresso di via Po nacque l’idea di affiancargli un quotidiano, che sarà la corazzata Repubblica, e poi la catena di giornali locali, da Livorno a Salerno, a Padova, Pescara, Sassari, Pavia, Mantova, Bolzano. “Tanto che addolora -scrive Manfellotto- e anche qui stupisce assai, che prima de L’Espresso siano usciti dall’impero Il Tirreno, La Nuova Sardegna, le Gazzette di Modena, Reggio e Ferrara”.

finanziamento eni

Raccontando poi di come Arrigo Benedetti e Scalfari rinunciarono al finanziamento dell’Eni per mantenere spirito libero e identità, Manfellotto con rapidi cenni illustra l’identità dell’Espresso: cura ossessiva della scrittura, scelta accuratissima delle fotografie, una certa predisposizione a fare scandalo con articoli e inchieste, impegno convinto nelle battaglie civili, determinazione ad aprire porte e finestre che molti volevano chiuse, lotta a ogni forma di corruzione, criminale o politica, attenzione a ciò che di nuovo si agita nella società, molteplicità di opinione e punti di vista. Tutto condito “con leggerezza colta e una certa ironia utile a garantire un salutare distacco dalle cose”.

Adesso è vero che la formula del news magazine segna il passo, ma è pur vero che chiunque oggi si accinga ad aprire un nuovo settimanale ripete di volersi rifare alla lezione del miglior Espresso. Sarebbe stato meglio dunque “innaffiare le radici, non bruciarle”. Messaggi per il Gruppo Gedi: “Un’azienda che produca informazione e cultura, se condotta con onestà e responsabilità, è anche un servizio alla democrazia. Non è un ramo d’azienda da strappare solo perché non produce più i frutti sperati”.

Il finale è per il nuovo proprietario: “Nell’attesa che si comprenda chiaramente di quali futuro si tratti, non posso che augurare che la sfida riesca, perché voglio bene all’Espresso. Ma se la vicenda che ho raccontato venisse dimenticata e quell’identità vieppiù calpestata, se le sue radici venissero estirpate dopo essere state tagliate, allora sì che quella ‘certa idea’ sarebbe morta. E con essa anche un pezzo importante della nostra democrazia”.

(nella foto, Bruno Manfellotto)

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