(V.R.) Gli anniversari si trasformano spesso in celebrazioni, talvolta in processi, nei quali l’imputato naturalmente non può difendersi. E’ quello che sta succedendo per il ventesimo dalla morte di Indro Montanelli. In un articolo pubblicato su Micromega, Daniele Fulvi lo definisce ”un pessimo storico e un giornalista disonesto”, che con una “costante manipolazione fra cronaca e storia” avrebbe alterato “la memoria del nostro paese contribuendo in maniera determinante a normalizzare l’ideologia fascista”.

Su Montanelli si è spesso discusso, anche recentemente quando qualcuno ha proposto di togliere di mezzo la statua a lui dedicata, proposta che per fortuna non ha avuto seguito. Daniele Fulvi è uno scrittore e filosofo aquilano, che ha usato la mano pesante. Non tanto nel giudizio sul giornalista, quanto sulla abilità che Montanelli avrebbe mostrato nel fare da sponda alla minimizzazione della dittatura che, sempre più spesso, si avverte in alcuni settori della nostra cultura.

condanna a morte

Per fortuna del vecchio Indro (era nato nel 1909), i fratelli Alberto e Giancarlo Mazzuca sono appena scesi in campo con un libro di aneddoti (“Montanelli, ove eravamo rimasti”) nel quale propongono una biografia che rimette sul piedistallo il loro maestro. Entrambi i Mazzuca, infatti, lavorarono e collaborarono con lui e ora offrono un’immagine più appassionata ed equilibrata. Del resto Montanelli è sempre stato al centro di discussioni, soprattutto per le sue vicende politiche: basti citare la sua gioventù in divisa fascista, la guerra in Africa, il famigerato matrimonio con una ragazzina etiope di 14 anni, accanto però alla sua rivendicazione di antifascismo, alla condanna a morte da parte del regime e alle pallottole che gli riservarono le Brigate Rosse.

parametri attuali

Sull’Espresso, Paolo di Paolo ha ricordato l’auto-necrologio che incredibilmente Montanelli scrisse dal letto di ospedale: “Prende congedo dai suoi lettori, ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito”. Lo scrittore riflette sull’impossibilità di giudicare: “Il passato si può esplorare, analizzare. Del passato si può riportare alla luce l’ingiustizia e l’orrore e quella figura anonima che quell’ingiustizia e quell’orrore ha subito”. Ma pretendere che risponda ai nostri parametri attuali è insensato, “come ritagliare dalle biografie altrui il segmento che stona, che non ci convince, che ci indigna. Ma nessuna esistenza somiglia a un’equazione, il risultato non torna mai”.

In attesa di vedere se al dibattito vorranno partecipare altri difensori o oppositori, è giusto ricordare che il “Cilindro” di Fucecchio ha rappresentato per molti giornalisti un raro esempio di scrittura, per la semplicità e la leggibilità della sua narrazione. E, quale che sia il giudizio sulle sue spesso contraddittorie posizioni politiche, si deve riconoscere che Montanelli ha dimostrato un’inequivocabile voglia e capacità di mantenere la propria indipendenza. Un solo episodio: quando nel 1974, uscito dal Corriere con altre grandi “penne”, dopo aver creato il Giornale Nuovo per bilanciare il dominio del quotidiano diretto da Piero Ottone, si dimise e sbatté la porta sulla faccia di Silvio Berlusconi, suo principale finanziatore, che aveva osato entrare in redazione per ammonire e redarguire i giornalisti. Tutto si può dire di Montanelli ma non si può negare il suo orgoglio di servire i lettori, che “considerava i suoi unici padroni”, come ha scritto Dino Messina sul quotidiano di via Solferino proprio in ricordo di quel 22 luglio del 2001 in cui se ne andò.

LASCIA UN COMMENTO