di VITTORIO ROIDI

Luca di Schiena, chi era costui? Veniva in mente lui, il 20 gennaio, assistendo allo “speciale del Tg1” sul giuramento del presidente degli Stati Uniti. Perché Di Schiena fu il giornalista al quale la Rai affidò – insieme con il bravissimo Paolo Valenti – il compito di insegnare l’arte della telecronaca, il racconto in diretta dei fatti che l’azienda di viale Mazzini decideva di seguire dal vivo. Elezioni di Papi, disastri naturali, trattative di governo: servivano loro, i telecronisti superaddestrati, che intervenivano per raccontare avvenimenti spesso troppo rapidi altre volte troppo lenti, magari delicati, da gestire con particolare professionalità. Tempi antichi, dei quali non c’era traccia nella trasmissione di ieri. Giusto? O sbagliato?

Se l’è anche cavata, Emma D’Aquino, a cui lo speciale era stato affidato. Aveva quattro ospiti da ascoltare e tre colleghi ai quali dare la linea (Di Bella, Pagliara, Clementi), che partecipavano chi da New York, chi dalle strade di Washington. Se l’è cavata, anche se ha dovuto fare i salti mortali fra un intervento e l’altro, spezzando, interrompendo, perché la cronaca incombeva.

tizio con cappellaccio

La prima regola che insegnava di Schiena, più di 50 anni fa, era quella di seguire le immagini, riconoscere le persone, spiegare allo spettatore ciò si vede sullo schermo. Oggi evidentemente non si usa più. Quanti particolari si sono persi! Chi era quel tizio col cappellaccio che è arrivato al microfono e dopo pochi istanti è andato ad abbracciare tutti gli ex presidenti? E quella coppia seduta in basso e spesso ripresa in primo piano? Forse figli di Biden? C’erano molte persone accanto al Presidente e alla first lady, ma non abbiamo saputo chi fossero, E così, a parte Mike Pence, il vice di Trump, Lady Gaga, Jennifer Lopez, il reverendo, e pochi altri, pochi altri personaggi sono stati indicati al pubblico. Una volta il telecronista doveva conoscere tutti e dire al volo chi c’era. Hillary Clinton, per esempio, chi l’ha vista?

200mila bandiere

Non c’è più il gusto di descrivere i particolari: 200 mila bandiere!; i luoghi: la scalinata violata due settimane fa dai seguaci di Trump; i militari assiepati lungo una delle più famose strade del mondo. Una volta si faceva caso all’abbigliamento, tutte le signore con cappottini e sciarpe al collo; le benedette mascherine che -questo in studio è stato notato- tutti avevano sul volto lì dove The Donald l’aveva tolta con disprezzo. Quante cose non abbiamo saputo: che fine avevano fatto  gli esagitati armati che erano arrivati già nei giorni scorsi nella capitale americana?

Il racconto non c’è stato. La ragione è semplice: ormai è importante commentare, avere gli esperti, interpretare, parlare di cosa è avvenuto e di cosa avverrà, prima di ciò che sta avvenendo. Ogni tipo di trasmissione è fatta così, perfino quelle che raccontano i fatti in diretta. E’ la tecnica di oggi – non solo della Rai, perché anche la maratona di Mentana, sul 7, non è stata molto diversa – Una televisione che dimentica le immagini, perfino quando sono eccezionali, uniche, irripetibili come quelle che mostrano un uomo dai capelli bianchi, un po’ triste ma sorridente che, dopo averlo sognato per una vita, giura sulla Bibbia e diventa presidente degli Stati Uniti. 

Separare i fatti dalle opinioni, diceva Lamberto Sechi ai giornalisti della carta stampata. Forse vale anche per quelli televisivi: raccontare e dopo fare i commenti. Le due cose insieme costituiscono un esercizio che spesso non riesce. Soffre la narrazione e soffre la spiegazione. Che peccato!

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