Nuova minaccia sul futuro dell’Inpgi. A sorpresa la Cassazione ha rimesso in discussione il versamento all’Inpgi 1 dei contributi previdenziali dei dipendenti di pubbliche amministrazioni che lavorano negli uffici stampa o comunicazione senza avere un contratto da giornalisti, ma che sono iscritti all’Albo dei giornalisti professionisti o pubblicisti. Il quesito dovrà essere sciolto nei primi mesi del 2021 dalle Sezioni Unite Civili della Cassazione.

Fino al 2000 i contributi previdenziali di questa categoria di giornalisti venivano versati all’Inps, da quell’anno vengono versati all’Inpgi. Se sarà affermato il principio che sia  esclusivamente l’Inps il destinatario dei versamenti contributivi previdenziali da parte di un datore di lavoro pubblico per i propri dipendenti iscritti all’albo dei giornalisti, all’Inpgi verrebbero a mancare per sempre entrate contributive di peso fondamentale.

Il fulmine inatteso arriva a ridosso dei tentativi di salvataggio in extremis dell’ente. L’Inpgi da tempo è a corto di liquidità, per la pesantissima e strutturale crisi dell’editoria e per aver svolto funzioni di bancomat per gli editori e per lo Stato, pagando gli ammortizzatori sociali della categoria (disoccupazione, cassintegrazione, contratti di solidarietà, tfr in caso di fallimento, mancati recuperi da aziende fallite, contributi figurativi da corrispondere, in base allo Statuto dei lavoratori, sulle pensioni giornalisti eletti deputati, senatori, parlamentari europei, sindaci di grandi città, governatori di Regioni). 

Dal 2011 ad oggi l’Inpgi é stato costretto a disinvestire titoli, fondi ed immobili per 1 miliardo e 200 milioni di euro e la sua riserva tecnica reale (rapporto tra le pensioni in corso di pagamento ed il suo patrimonio) é scesa a soli 2 anni contro i 5 previsti per legge. Il 31 dicembre prossimo scadrà il termine previsto dalla legge per presentare un nuovo e dettagliato bilancio tecnico-attuariale che eviti il commissariamento. Al Sottosegretario all’editoria Andrea Martella (Pd) è stato chiesto di anticipare al 2021 l’ingresso nell’Inpgi di circa 14 mila “comunicatori” che oggi versano i contributi all’Inps. Il decreto legge dell’aprile 2019, varato dal governo Conte 1 prevedeva l’allargamento della platea dei contributori per il 2023.

A rimettere la delicata questione dei contributi dei giornalisti assunti nella pubblica amministrazione é stata la sezione lavoro della  Suprema Corte, presieduta da Amelia Torrice. Il caso esaminato riguarda l’esito di un’ispezione dell’Inpgi del 15 marzo 2007 in cui era stato contestato alla Usl di Pescara il mancato versamento dei contributi previdenziali per circa 140 mila euro, relativi ai due membri dell’ufficio stampa, giornalisti pubblicisti. Il Tribunale di Roma aveva accolto l’impugnativa dell’Usl, ma la Corte d’Appello di Roma aveva ribaltato il verdetto dando pienamente ragione all’Inpgi. Su ricorso dell’Usl, esaminato a 13 anni di distanza dalla data dell’ispezione, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Alessandro Cimmino, ha chiesto l’annullamento della sentenza di appello perché l’attività svolta dai due dipendenti non integrava attività giornalistica, ma attività di marketing, informazione e promozione aziendale. 

La Sezione lavoro della Suprema Corte ha ritenuto opportuno rivolgersi alle Sezioni Unite, che dovranno dirimere la questione a favore dell’Inps o dell’Inpgi. A meno che, nel frattempo, per sbloccare la situazione, non entri in vigore, come previsto dal decreto-legge n. 34 del 30 aprile 2019 varato dal 1° governo Conte, una ”leggina” chiarificatrice.

 

 

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