La legge che governa l’editoria in Italia ha 40 anni. “Intanto, è cambiato il mondo”.

L’Associazione Stampa Romana ha scritto una proposta di riforma della legge 416, “per garantire un futuro sostenibile su un orizzonte medio-lungo”.

Per cominciare, digital tax: ricezione della direttiva europea sul copyright, contributi per i giornali da parte dei dominatori del settore, Google, Apple, Facebook, che hanno fagocitato la pubblicità e diffondono gratis il lavoro giornalistico delle testate di tutto il mondo. “Poiché la fruizione del prodotto digitale passa oggi sostanzialmente dagli smartphone non si deve escludere che siano anche i produttori di apparecchi a versare nelle casse di questo fondo”.

La legge 416 è stata utilizzata dalle aziende per ristrutturare: vale a dire per risparmiare costi senza innovare. Occorre quindi un legame diretto fra erogazione dei fondi pubblici e reale riconversione digitale.

I contributi pubblici dovranno andare alle aziende che firmano contratti di lavoro con il sindacato con rigorosi controlli sui ricavi e sulla trasformazione digitale dei prodotti. Oggi i contributi vanno soprattuto a piccole aziende che non sopravviverebero senza, ma anche i grandi editori potrebbero beneficiarne, se creano iniziative editoriali in cui impiegare giornalisti licenziati o in cassa integrazione.

Il denaro pubblico, inoltre, dovrà essere erogato solo alle aziende che rispetteranno le norme sul’equo compenso, da definire al più presto. Niente finanziamenti a chi paga sette euro a pezzo.

Anche l’Ordine deve uscire dal secolo scorso. Deve riconoscere anche figure professionali che non producono direttamente notizie. Social media manager, architetti dell’informazione, videomaker, data analisi, “conversatori con i lettori”. L’Ordine dovrebbe creare un nuovo Albo per loro. Solo da questa base, con numeri e definizioni certe, si  potranno poi inserire i comunicatori nell’Inpgi.

L’Istituto di previdenza attraversa una grave crisi, anche perché è stato gravato dei prepensionamenti favoriti da numerosi governi negli ultimi dieci anni. I prepensionamenti hanno permesso alle aziende di dichiarare falsi stati crisi e di scaricare i costi sulla collettività. Se le aziende vogliono continuare a mandare in pensione i giornalisti a 62 anni dovranno farlo con la creazione di un fondo a loro carico.

L’aiuto dello Stato dovrebbe poi favorire l’emersione di rapporti di lavoro finto autonomo per trasformarli in contratti di lavoro  subordinato.

Un organismo di nove persone, con rappresentati del dipartimento dell’editoria, del ministro del Lavoro, degli editori, dei sindacati dei giornalisti, dei poligrafici e degli edicolanti, di Agcom, Antitrust e Agenzia del lavoro sarebbe incaricata di  controllare il funzionamento e le violazioni della legge.

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