di ANDREA GARIBALDI

Stiamo assistendo, inermi.

Corriere della sera, Sole 24 ore, Messaggero, Gazzetta, Corriere dello Sport, Ansa. Decine e decine di altre testate. Prepensionamenti, tagli ai compensi dei collaboratori, tagli alle domeniche e agli straordinari. Giornalisti trattati come un peso.

Un disastro senza uguali, che ha bisogno di una reazione.

I protagonisti sono quattro.

I governi. Tutti, dal 2009 a oggi, da Berlusconi, a Renzi a Conte, hanno dato agli editori lo strumento che chiedevano: prepensionamenti. Per liberarsi dei giornalisti più esperti e meglio pagati. Nell’ultima finanziaria hanno addirittura dato la possibilità di assumere, al posto dei prepensionati, tecnici del web: nero su bianco l’estinzione progressiva della categoria. I governi hanno sostenuto un settore industriale anomalo, composto da editori che (in gran parte) non sono editori, ma possiedono giornali per scopi diversi dall’informazione o dal profitto d’impresa. In cambio di benevolenza, di “buona stampa”, si deve supporre.

I governi hanno finanziato in parte i prepensionamenti, ma hanno scaricato i costi maggiori sull’Istituto di previdenza dei giornalisti, che si è ritrovato in dieci anni oltre mille nuovi giovani pensionati, fra i 58 e i 62 anni, da mantenere.

fondamentali e fastidiosi

E che si avvia al default, un altro colpo all’autonomia della categoria.

La politica. In generale, è soddisfatta di aver messo i giornalisti in ginocchio. I giornalisti hanno innumerevoli colpe, tuttavia nelle espressioni migliori non piacciono a chi fa politica, sono fastidiosi. Pretendono di guardare dietro le quinte, di fare la guardia, di mediare fra politica e cittadini. La loro funzione è fondamentale per la democrazia. Senza giornalisti, finalmente, i leaders politici possono avere un “rapporto diretto” con i cittadini. Raccontare tutte le favole che desiderano.

Terzo protagonista, gli editori. Chiedono, essenzialmente, di risparmiare. Tagliano dove si può, da decenni. Si liberano dei giornalisti esperti e ben pagati, assumono (pochi) giovani inesperti e mal pagati. Dicono che i ricavi calano, da decenni. Chiedono e ottengono -come nel caso del Coronavirus- sgravi fiscali a pioggia. Ma cosa hanno messo in campo, in questi decenni, per innovare, per cercare strade nuove, per cambiare i prodotti, per offrire ai cittadini ciò di cui hanno bisogno, per semplificare, migliorare le loro esistenze grazie all’informazione? Nell’accordo appena siglato al Messaggero c’è qualche breve accenno alla formazione dei giornalisti sulle tecnologie. Alla Stampa è stato sbandierato il “digital first”. Timide cose, rispetto a certe sperimentazioni di successo di grandi testate all’estero.

Il presidente della Fieg, Riffeser, ha chiesto al governo due cose sacrosante: norme sul diritto d’autore e lotta alla pirateria. La direttiva sul diritto d’autore è stata approvata dal Parlamento europeo nella primavera 2019. Dice che le grandi piattaforme web devono riconoscere agli editori (e ai giornalisti) un compenso per gli articoli che copiano e incollano dagli organi di informazione. I Paesi membri hanno tempo fino al 17 maggio 2021 per approvare leggi conformi alla direttiva. In Italia è tutto fermo, il Movimento 5 Stelle è contrario, ha votato no anche a Bruxelles. La pirateria è quella di chi offre gratis online le edizioni integrali dei quotidiani, rubando così i contenuti. Perdita stimata per gli editori: 250 milioni l’anno.

Strategia d’attacco

Ultimo protagonista, i giornalisti.

Con i loro organismi istituzionali, sono da anni con le spalle al muro. Giocano soltanto in difesa. Gli editori propongono di dimezzare il valore delle domeniche? I cdr e i sindacati gridano vittoria quando lo riducono di un terzo. Gli editori chiedono 30 prepensionamenti? E’ un successo portarli a 25. Gli editori vogliono assumere tecnici del web anziché giornalisti? I sindacati si battono perchè siano giornalisti. Ma la norma sui tecnici è stata scritta e quindi prima o poi sarà applicata.

Difese, con le unghie e con i denti. Ma la linea di resistenza scivola sempre più indietro, anno dopo anno.

Proviamo a dire qualcosa, senza insegnare niente a nessuno.

Innanzitutto è giusto stare al fianco degli editori nelle battaglie su copyright e pirateria.

Poi, i prepensionamenti sono da combattere. Perché i giornalisti devono andare in pensione prima degli altri italiani? E’ perfino offensivo per gli altri italiani. Inoltre, è abnorme che i prepensionamenti distruggano l’Inpgi: se il governo vuole fare questo favore agli editori, deve finanziare anche il peso che mette sulle spalle dell’Istituto.

Il contratto di lavoro è scaduto dal 2016. Quel tavolo viene evitato perché gli editori chiederebbero tagli, ancora tagli. Bisogna invece sedersi e cambiare l’ossatura del contratto, buono per il secolo scorso. Inserire i freelance, le nuove figure professionali. Modellarlo sul mondo che è completamente cambiato. Disposti anche a sacrificare istituti superati, in cambio dell’ingresso nella modernità. Un contratto che metta il digitale al primo posto, perchè è per forza quello il futuro.

Nelle redazioni, contrastare i direttori che sono diventati catene di trasmissione delle volontà degli editori, in prima linea per convincere le redazioni ad approvare i piani “solo tagli” degli editori. Chiedere una nuova generazione di direttori per tornare a fare con loro giornali utili, interessanti e dalla parte dei lettori. Proporre innovazione tecnologica, ma anche vicinanza con le comunità alle quali ci si rivolge. Giornali che facciano profitti con le informazioni e i servizi, senza vendersi alla pubblicità. Non solo tagli, ma idee, novità, investimenti.

Ci sono nel mondo tanti esempi che funzionano, se non abbiamo progetti originali, prendiamo spunto.

La possibilità di reagire allo sterminio esiste. Ci avremo almeno provato.

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