di GIAMPIERO GRAMAGLIA

Il match Trump vs Twitter in scena su Twitter da giorni è un apparente paradosso e una sommatoria di contraddizioni: il magnate presidente parte lancia in resta contro il social network che è stato ed è la sua palestra preferita d’ogni sorta di para-informazioni; il “sito dei cinguettii” decide, di punto in bianco, di ribellarsi alla bulimia presidenziale di tweet senza controllo; Facebook sta con Trump contro Twitter, fin quando il magnate non colpisce tutti i social in modo indiscriminato (e forse neppure troppo consapevole); e infine, una battaglia avviata dalla Casa Bianca in nome della libertà d’espressione garantita dalla Costituzione e negata al presidente – falso!, nessun suo tweet è stato oscurato – rischia di sfociare in una limitazione della libertà d’espressione collettiva.

Troppa carne al fuoco? Forse. Tanto più che la “guerra di Twitter” scoppia mentre gli Stati Uniti sono alla prese con la pandemia che, a tutto il 29 maggio, ha fatto nell’Unione quasi 103.000 morti e 1.750.000 contagiati – nessun Paese al mondo peggio di così –; e mentre la morte di un nero a Minneapolis scatena tensioni razziali e violente proteste; e mentre Trump alza il tiro contro la Cina per Hong-Kong e contro l’Oms. Forse nella serie “chiodo scaccia chiodo”.

Ordine esecutivo anti-social

Tentiamo di fare ordine. Mercoledì 28, il giorno dopo essere stato oggetto di una puntualizzazione di Twitter, che segnalava errori fattuali in due suoi “cinguettii”, Trump firma un ordine esecutivo anti-social network, che li priva dell’immunità legale contro eventuali cause per i loro contenuti o anche per interventi su account e post.

Trump afferma che Twitter assume “posizioni editoriali” e fa “attivismo politico” quando interviene sui post degli utenti ed equipara le piattaforme social a monopoli. Il presidente annuncia che l’Amministrazione lavora a una legislazione ad hoc sui social e ammette di aspettarsi “sfide legali” al provvedimento, che per essere pienamente esecutivo avrebbe bisogno d’un avallo congressuale – non è chiaro se qualcosa in pratica è già cambiato o meno -.

La mossa di Trump, largamente pre-annunciata, con una serie di prese di posizione durissime contro Twitter, è giuridicamente contestabile – secondo larga parte dei media Usa – e, soprattutto, pare andare in direzione opposta all’obiettivo indicato. Il presidente che ha basato il suo successo politico sull’efficacia dell’utilizzo dell’account Twitter – oltre 80 milioni di follower -, dichiara guerra al social network perché ha osato fare “fact checking” su due suoi messaggi: Trump lamenta una limitazione della sua libertà di parola, che non c’è stata – Twitter non ha cancellato i cinguettii, ma ne ha solo fatto rilevare le palesi inesattezze -.

“Questo è un grande giorno per i social media e l’imparzialità!”, twitta il presidente, che esprime l’intenzione di “regolamentare fortemente” o di “chiudere” i social network, accusandoli di “mettere a tacere” le voci dei conservatori e di interferire nelle elezioni presidenziali. Ma il provvedimento, se operativo, avrà come conseguenza che i social network dovranno esercitare ancora più controllo sui post pubblicati dai loro utilizzatori, potendone rispondere penalmente.

Trump, che di Twitter e di tweet è bulimico – al punto che il suo staff ha già provato senza riuscirci a smorzarne il flusso -, rischia di essere la prima vittima della sua misura.

Zuckerberg versus Dorsey


Tant’è vero che Mark Zuckerberg, il creatore e fondatore di Facebook, prima si schiera dalla parte del presidente, fedele alla sua filosofia che ha fatto del suo social il maggiore veicolo di fake news al mondo, poi lo mette in guardia. Zuckerberg critica Twitter per avere fatto “fact cheecking” sui tweet di Trump. “Credo fortemente che Facebook non debba essere l’arbitro della verità di tutto ciò che la gente dice online”, dichiara su Fox News. “In generale, le società private, specialmente queste piattaforme, probabilmente non dovrebbero essere nella posizione di farlo”.

Poi, commentando il provvedimento del presidente, sempre alla Fox, dice: “Devo ancora capire che cosa intenda fare l’Amministrazione. Ma in generale penso che la scelta di un governo di censurare una piattaforma perché è preoccupato della sua censura non sia la giusta reazione”.

Il presidente, invece, sostiene, su Twitter: “Le grandi imprese dell’hi-tech stanno facendo tutto quello che è in loro potere per censurare le elezioni del 2020 … Se questo dovesse succedere, perderemmo la nostra libertà ed io non permetterò che ciò accada! … Ci hanno provato nel 2016 e hanno perso. Ora impazziranno. Restate sintonizzati!!!”.

“Segnalare le informazioni errate non ci rende un ‘arbitro della verità'”, risponde a Zuckerberg (e pure a Trump) il numero uno di Twitter Jack Dorsey. “Continueremo a segnalare informazioni errate o contestate sulle elezioni a livello globale”, aggiunge, sostenendo che i tweet di Trump “potevano indurre le persone a pensare erroneamente che non è necessario registrarsi per ottenere una scheda elettorale”. “La nostra intenzione è collegare i punti di dichiarazione contrastanti e mostrare le varie informazioni in una disputa, in modo che la gente possa giudicare da sola”.

Casus belli, il voto per posta


I cinguettii di Trump corretti per la prima volta denunciavano un rischio di frode elettorale dopo che il governatore della California Gavin Newsom ha allargato, a causa del coronavirus, le possibilità di voto per posta: due tweet presidenziali sono stati contrassegnati con l’avviso di “get the facts”, “verificare i fatti”, con un link in cui si dice che le affermazioni del magnate sono prive di fondamento, secondo la Cnn, il Washington Post e altri media.

Negli ultimi giorni, Trump aveva ripetutamente twittato contro il voto per posta, accusando California, Michigan e altri Stati di consentire frodi elettorali favorendo, a causa della pandemia, il voto per posta, che sarebbe “sostanzialmente fraudolento”. Un portavoce di Twitter spiega che i tweet del presidente “contengono informazioni potenzialmente fuorvianti sul processo di voto e sono stati segnalati per dare informazioni addizionali” ai loro lettori. Trump e i repubblicani sono contrari al voto per posta ritenendosene danneggiati.

Poche ore prima, lo stesso social network si era rifiutato di cancellare i tweet in cui il presidente rilanciava una teoria cospirativa secondo cui un ex deputato e ora conduttore televisivo di Msnbc, Joe Scarborough, potrebbe avere avuto un ruolo nella morte nel 2001 di una sua collaboratrice parlamentare, Lori Klausutis. La richiesta di rimuovere i cinguettii era stata avanzata dal vedovo della donna.

Twitter agisce poche ore dopo che il New York Times s’era chiesto se il social network avrebbe prima o poi imposto un limite a Trump, “ben noto per superare i confini di quello che è di solito considerato un comportamento politico accettabile”. I liberal più ottimisti pensano che il presidente stia creandosi un alibi in caso di sconfitta elettorale – battuto dalla “cospirazione” dei social network -; i più pessimisti, invece, pensano che stia mettendo le basi per un nuovo successo: usa Twitter come strumento di propaganda, megafono degli annunci e arma contro i nemici.

La reazione di Trump alla decisione di Twitter non s’era fatta attendere, ovviamente con un tweet: “Twitter sta interferendo nelle elezioni presidenziali 2020. Stanno dicendo che la mia dichiarazione sul voto per posta, che porterà a una massiccia corruzione e alla frode, non è corretta, basandosi sul fact-checking delle Fake News Cnn e del Washington Post … Twitter sta completamente sopprimendo la libertà di parola ed io, come presidente, non consentirò che ciò accada!”.

La polemica ha echi in Borsa, sulle quotazioni dei social network. E Trump gioisce delle difficoltà di un altro media suo nemico, The Atlantic, il magazine di cui è principale azionista Laurene Powell Jobs, la vedova di Steve Jobs: “Una grande notizia. Il noioso … The Atlantic sta fallendo ed ha appena annunciato il taglio di almeno il 20% del suo staff. E’ un momento difficile per l’industria delle Fake News”.

Incitazione alla violenza

Twitter dimostra però di essere determinato a tenere testa al presidente, segnalando, giovedì 28, ma non cancellando, un suo tweet che viola gli standard sull’ ‘esaltazione della violenza’. Trump, parlando dei disordini per l’uccisione di George Floyd, il nero morto dopo essere stato brutalmente bloccato dalla polizia a Minneapolis, scrive: “Non posso star a guardare quel che succede in una grande città americana … Una totale mancanza di leadership. O il debolissimo sindaco d’estrema sinistra Jacob Frey si dà una mossa o mando la Guardia Nazionale a fare il lavoro che serve … questi TEPPISTI stanno disonorando il ricordo di George Floyd e io non lo permetterò … Se ci sono difficoltà, assumeremo il controllo, ma quando parte il saccheggio, s’inizia a sparare. Grazie!”.

“Questo tweet viola le regole di Twitter sull’esaltazione della violenza – ha scritto il social network sulla pagina di Trump -. Ma Twitter ha stabilito che è nell’interesse pubblico che resti accessibile”. Quando la Casa Bianca ha rilanciato il tweet presidenziale, Twitter l’ha etichettato allo stesso modo.

Al che, Trump coinvolge il social network in una polemica globale: “Twitter non sta facendo nulla sulle menzogne e la propaganda fatte circolare dalla Cina o dalla sinistra radicale democratica … Hanno messo nel mirino i repubblicani, i conservatori e il presidente degli Stati Uniti”.

Il candidato democratico alla Casa Bianca Joe Biden non interviene sul voto per posta, (lui è favorevole), ma è “furioso” per il tweet su Minneapolis. “Ne ho abbastanza. Il presidente fa appello alla violenza contro cittadini americani in un momento di grande dolore per molti”, twitta. “Sono furioso, e dovreste esserlo anche voi”.

(nella foto, Jack Dorsey e Donald Trump)

LASCIA UN COMMENTO