di ALBERTO FERRIGOLO

Nel 1998 internet e il web tutto è già uno strumento d’informazione maturo. E a partire da questa data la Rassegna stampa della Camera dei deputati, ad esempio, viene pubblicata sul sito istituzionale di Montecitorio, accessibile a tutti. Parlamentari e non. I deputati, però, continuano a usufruire dello strumento anche nel formato cartaceo. La prima va in Rete alle 8,30 del mattino, il secondo viene depositato nel casellario postale adiacente il Transatlantico non prima di mezzogiorno, a causa dei lunghissimi tempi di stampa per i mille esemplari riprodotti in fotocopia. A produrli, uno staff di 15 persone, tra cui sette documentaristi, esperti in analisi e selezione dei documenti, i quali valutano un “brogliaccio” di 400-500 articoli inviati online dall’Eco della stampa che confeziona ogni giorno 60-70 pagine di altrettanti titoli. Un lavoro che inizia alle 6 del mattino e termina non prima delle 8. Una rassegna analoga la producono anche gli uffici di Palazzo Madama, il Senato, per altre 620 copie in carta più la versione online. Differenze tra le due? Sul sito della Camera si possono fare ricerche d’archivio, su quello del Senato no. Sta di fatto che le pressioni degli editori sui vertici di Camera e Senato per oscurare la rassegna e non renderla accessibile a tutti è fortissima. Così il 7 dicembre 2012 le due amministrazioni decidono congiuntamente di rendere disponibile la rassegna stampa solo sulla linea intranet “per le esigenze informative dei parlamentari e di altre categorie di soggetti istituzionali a ciò autorizzate”. La Fieg raggiunge un primo risultato. 

Così dal primo gennaio 2013 le pagine web delle rassegne stampa di Parlamento, Senato e ministeri vengono di fatto oscurate al grande pubblico. La Voce Repubblicana, organo del Pri, ritiene la decisione un vulnus, in quanto “non si comprende perché sia stata presa per difendere il diritto d’autore, quando gli articoli della rassegna stampa non sono pubblicati in formato html, quello che permette il copia e incolla, ma in quello pdf”, mentre l’Opinione delle libertà, testata che fa riferimento indirettamente a Forza Italia, difende l’importanza della rassegna online perché “ha una funzione di fondamentale importanza sia nel processo d’informazione dei cittadini, sia nella formazione della cittadinanza attiva”. Soggetti che gli editori ritengono invece solo “lettori a scrocco”. Ed è, di fatto, anche il primo momento di riflessione e terreno di scontro sulla gratuità o meno dei contenuti in internet.

due società dominanti

E così si arriva al 2017 quando l’annosa controversia su rassegne e tutela del diritto d’autore raggiunge un primo risultato con il deposito della sentenza della nona sezione del Tribunale civile di Roma che stabilisce che le due principali società del settore, Eco della stampa e Data Stampa, hanno sì il diritto di poter riprodurre articoli, informazioni e notizie già pubblicati su giornali e periodici, ma che queste rassegne devono essere indirizzate ad un singolo cliente e non al pubblico in generale, altrimenti entrerebbero in concorrenza e in conflitto con l’attività degli editori. Quest’ultimi, parzialmente soddisfatti, ricorrono in ogni caso in appello. Mentre le due società di rassegne si limitano a registrare il fatto che viene introdotto finalmente un elemento di “chiarezza in un terreno nel quale finora ha regnato la confusione”, che gli editori continuano a offrire i propri siti gratuitamente contribuendo così, di fatto, all’idea che i contenuti sul web debbano essere free e facendo per altro concorrenza ai loro stessi giornali.

Ma per gli editori si tratta di una vittoria solo parziale. L’aver vietato l’accesso gratuito e visibile a tutti delle rassegne non ha risolto granché. Né l’introduzione di specifiche password, anche personali, ha contribuito a oscurare la visione al largo pubblico. Perché a quel punto inizia il passaparola delle password, la loro cessione e riproducibilità tecnica nell’era del web, così come l’opera d’arte diventò riproducibile dalla prima metà del ‘900, secondo il filosofo Walter Benjamin.

Dice a tale proposito Umberto Frugiuele, executive board member dell’Eco della Stampa: “La rassegna stampa non si rivolge ad un pubblico consumer bensì ad un utente business-to-business, e i nostri clienti sono importanti ministeri, dagli Interni alla Salute, grandi aziende come l’Eni e l’impresa più piccola viene comunque ripresa dallla stampa. Ecco, l’errore commesso dalla Fieg è che ogni volta che questo argomento è approdato in Parlamento è sempre stato cassato dai deputati su sue pressioni, mentre noi abbiamo sempre auspicato una normativa nell’interesse di tutti”. L’Eco della Stampa ha creato le rassegne a partire dagli anni Novanta, quasi 120 anni di storia, nata nel 1901 e fondata da Ignazio, il capostipite della famiglia, 120 dipendenti oggi, oltre 200 vent’anni fa, 4.000 clienti, che chiedono la rassegna “sul proprio nome o brand”, di cui 700 la vogliono anche sul diretto competitor.

Guardia di Finanza

Un conto però sono le rassegne stampa, un’altra l’immissione delle versioni integrali dei giornali in versione Pdf veicolate privatamente o sul web o attraverso i telefonini tramite le chat di Telegram, WhatsApp o Google. Un ultimo scandalo è scoppiato quando la procura della Repubblica di Roma ha avvitato un’inchiesta proprio su Data Stampa dopo la denuncia di alcuni quotidiani, che hanno lamentato di non averne mai dato il consenso. Dunque, senza aver concesso la licenza di utilizzo, vendita e diffusione dei contenuti protetti da copyright. Tant’è che la Guardia di Finanza ha potuto verificare come la società in questione abbia fornito ogni giorno ai propri abbonati il testo integrale, in Pdf, di 21 quotidiani, italiani e internazionali, consentendo l’accesso con l’utilizzo di password rilasciate dalla stessa società, sia alla versione cartacea, sia facendo scaricare le pagine in formato Pdf. 

Tuttavia Data Stampa, per la voce del suo presidente Massimo Scanbelluri, si è difesa obiettando di “aver fornito alcuni quotidiani sulle app dei clienti solo in presenza di abbonamento sottoscritto dal cliente, ovvero per esso da Data Stampa” e che “la consultazione su app è blindata da credenziali personalizzate, non cedibili a terzi”. Inoltre, si legge nella nota di Scambelluri, apparsa su “Italia Oggi” lo scorso 13 dicembre, “per la sottoscrizione di abbonamenti ai quotidiani consultati su app, Data Stampa agli editori corrisponde oltre 200 mila euro l’anno per i soli 40 dei circa 420 abbonati che l’hanno chiesto”. Dulcis in fundo, “in molte gare della Pubblica amministrazione – chiarisce ancora Scanbelluri – il capitolato prevede espressamente la fornitura dei pdf dei giornali da parte dell’affidatario, e da ciò si deduce la generale convinzione che tale fornitura è fatta legittimamente, come legittimamente è stata dichiarata l’attività di rassegna stampa con sentenze del tribunale e della corte d’Appello di Roma, che hanno rigettato la domanda di inibitoria proposta dalla Fieg”.

Chiosa Frugiuele: “Il grosso crollo dell’acquisto dei giornali è avvenuto per le fotocopie, mentre per le rassegne bisognerebbe fare come si fa con le licenze dei software o di Office: se la utilizza una sola persona si paga tot, se la utilizzano più persone si dovrè pagare qualcosa in più, in proporzione al numero degli utilizzatori”. Ma a che punto è ora la trattativa con la Fieg? “Con Fieg non c’è più trattativa”, risponde Frugiuele, “nel senso che abbiamo vinto la causa in tribunale e in corte d’Appello e la Fieg non ha fatto ricorso in Cassazione mentre l’hanno fatto solo alcuni editori. Con alcuni di loro la questione è chiusa, con altri è sempre aperta, ma in ogni caso non è più gestita dalla Fieg in prima persona”. Il vostro auspicio? “Che passata l’emergenza si possa fare una regolamentazione certificata dal timbro del sottosegretario all’Editoria”.

Ma nell’era di internet, abuso delle password e diffusione di copie pirata o meno è diventato un gioco da ragazzi. Nel più totale anonimato.

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