Da qualche giorno nella vicenda de l’Unità c’è un paradosso. Il giornale ha di nuovo un futuro, nonostante l’onta, mal digerita, della direzione per un giorno di Maurizio Belpietro, direttore de La Verità. L’uscita spot del quotidiano – fondato da Antonio Gramsci e finito nelle mani dei palazzinari Guido Stefanelli e Massimo Pessina, dal giugno 2015 – garantisce un anno di trattative utili a salvare posti di lavoro e a ridare lustro al giornale.

Nato 95 anni fa come organo del Partito Comunista Italiano e agonizzante nel naufragio della sinistra, l’Unità non aspetta un cavaliere bianco, ma un progetto che riporti il giornale al centro delle battaglie civili e politiche di cui è stato per decenni bandiera autorevole. Sembrava a un certo punto averlo capito Michele Santoro. “Vorrei comprare l’Unità”, aveva proclamato senza mezzi termini dalle colonne del Corriere della Sera. Poi? Più nulla -salvo un violento attacco a Belpietro- nonostante la buona intenzione del sindacato dei giornalisti, dal Cdr alla Fnsi, di sedersi a un tavolo e, ancora una volta, cercare una soluzione. Per la quale, in molti, aspettano una parola da Nicola Zingaretti, superata l’ebbrezza della fragile soddisfazione elettorale.

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