“C’è Tano e non capita niente”. Si diceva nei cordoni dei cortei, nel 1977. Tano D’Amico ci credeva fino a un certo punto, cercava di esorcizzare il vento di morte che attraversava quei cortei “con una fede assoluta nelle immagini, immagini capaci di farsi e fondersi con la realtà mentre si fa, quelle immagini amano così tanto la vita da poter cambiare il destino”.

Piccolo, determinato, sorridente Tano. Da Filicudi dov’è nato 83 anni fa a Roma. C’era sempre o quasi nel movimento del ’77. Nel libro che ha appena scritto (“I nostri anni”, edizioni Milieu) a un certo punto ricorda: “I giornalisti che scendevano in strada erano sempre meno. Quando i carabinieri uccisero un giovane ricercato che stava mangiando delle pesche su una scalinata del centro di Roma, la radio di Stato interruppe le trasmissioni per dare subito la notizia. Andarono a vedere solo due fotografi. Il ragazzo era bocconi sui sampietrini, le braccia aperte come un Cristo, le pesche spiaccicate intorno”. 

prima le immagini

Tano usa la macchina fotografica come un prolungamento di sé, lo strumento non si vede, non si nota. Lui crede che “in un certo senso le immagini vengono prima degli avvenimenti.” E fa gli esempi: “E’ impossibile riflettere sulla grande rivolta dei contadini del primo quarto del Cinquecento senza stare a lungo in silenzio davanti alle grandi crocifissioni di Grunewald. Nel Cristo morto di Mantegna si possono condividere i sentimenti dei contadini, la pietà dei contadini, la misericordia dei contadini, l’indignazione dei contadini. I sentimenti dei comunardi vivono per sempre nei quadri degli impressionisti”. Ancora: “Ogni movimento, ogni rivolta erano strettamente legati a un cambiamento del modo di vedere, del modo di guardare. Le immagini nuove irrompono nella storia dai suoi squarci, quando c’è conflitto”. 

donne sotto la pioggia

Sono in fondo al libro poche foto -sempre bianco e nero- di Tano. Un panino all’Alfa Romeo. Daddo e Paolo in piazza Indipendenza all’inizio del ’77, l’uno che sorregge l’altro colpito e tiene in mano le pistole di entrambi, foto tenuta “coperta” per decenni. Dodici maggio 1977, le sorelle di Giorgiana Masi dopo l’omicidio a Ponte Garibaldi a Roma. I funerali di Giorgiana, solo donne, sotto la pioggia. Rivolta sul tetto di Rebibbia femminile (1973). Il funerale di Walter Rossi (1978). Inquadrature strette e lunghe: “Le persone si dispongono come un coro, come canne d’organo che fanno sentire la loro musica”.

Tano fa pochi nomi e nessun cognome, chiama se stesso “il fotografo”. Parla moltissimo dei giornali, ai quali portava le foto da pubblicare. Il giorno di Giorgiana: “Gli ultimi manifestanti erano su Ponte Garibaldi, andavano verso Trastevere. La polizia allontanò tutti i fotografi e tutti i cameramen. Rimase sul luogo il conduttore del telegiornale più seguito. Nell’ora di massimo ascolto racconterà quello che vide a tutto il paese: ‘Arriva il gotha della polizia, parcheggiano le macchine con i cofani rivolti verso i manifestanti che stanno correndo via. Quando si sentono gli spari il gotha della polizia si ripara dietro i cofani delle macchine. I colpi venivano dalle loro spalle’. Il miglior conduttore del telegiornale scomparve per sempre dal video”. Tano scattò la foto del poliziotto in borghese con la pistola in mano, quel giorno. 

muri che parlano

Scrive Tano che “denigrare e criminalizzare il movimento del ’77 era il compito della stampa. Aumentava la pressione sui pochi giornali che si ostinavano a mantenersi indipendenti. Esemplare la vicenda del maggior quotidiano romano, vero presidio di democrazia e garantismo in quegli anni difficili. La proprietà subiva continue pressioni per vendere. Ci furono attacchi continui della magistratura”. Un giornale -secondo Tano- può fare moltissimo per opporsi alla violenza, per esorcizzare la morte, ma nessun giornale fece niente”. 

Tano racconta un lavoro fatto di solitudine, doveva essere solo “per sentire un paese, un popolo oppresso, per sentire i muri parlare, echeggiare l’eco di grida ormai soffocate”, parla dei suoi occhi “che cercano diversità”. Parla dell’amicizia e dell’amore che tenevano insieme il movimento, delle donne che costruivano, cercavano, elaboravano una femminilità, un universo che non c’era mai stato, non avevamo mai visto, nemmeno loro lo avevano mai visto”. 

arresti e delusione

Parla, infine, della “gigantesca campagna di delazioni di piccoli gruppi di giovani che avevano fatto il ’68, che annichilì i movimenti, produsse uccisioni, fughe, arresti, generò un’ondata di delusione e infelicità che coinvolse decine di migliaia di giovani, poi annientati grazie al mercato delle droghe”. 

Tano, tuttavia, mantiene la sua certezza: “Nessun gruppo umano è vinto se ha le sue immagini”.

Professione Reporter

(nella foto, Tano D’amico)

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