di MICHELE MEZZA 

In molte redazioni c’è oggi un convitato di silicio, potremmo dire. Che è entrato di soppiatto, si è seduto al desk centrale e ha cominciato a preordinare le notizie su cui lavorano i giornalisti, stilando in molti casi lui stesso i testi e programmandone l’uscita sulla versione on line della testata. E nessuno gli dice niente. Nel migliore dei casi ci si garantisce che al momento l’occupazione non venga ridotta.

Rispetto all’altro convitato che dagli anni ’50 ha provato ad intromettersi nelle pagine o sui teleschermi di giornali o Tv -la pubblicità- o meglio quelli che allora un fortunato saggio di Vance Packard definì “persuasori occulti”, il nuovo condòmino delle redazioni è molto più invadente e invasivo. Soprattutto invisibile.

patto professionale

Per questo trovo incompleto e troppo datato il documento dei colleghi del Corriere della Sera con cui, giustamente, ribadiscono (si tratta di una conferma, infatti) il patto professionale per disinquinare l’attività giornalistica dalle forme più o meno surrettizie di promozione  commerciale.

Quando furono concordate le prime versioni storiche dello Statuto dei giornalisti della testata milanese, il 29 maggio 1973 e il 23 dicembre 2004, con diversa intensità, le due potenze che minacciavano l’autonomia dei redattori e l’indipendenza della testata erano il potere finanziario-politico, che avremmo poi visto all’attacco in maniera spettacolare con la P2 al tempo della direzione Di Bella, e la pubblicità, che stava mutando la sua struttura da semplice inserzionista in ambizioso narratore in proprio.

recintare due spettri

Giustamente in quelle fasi i colleghi del Corriere si preoccuparono di recintare questi due spettri, isolando, per quanto possibile, la fabbrica del giornale dal gioco dei poteri esterni. 

Stiamo parlando di un tempo in cui si realizzò il primo traumatico passaggio di modello produttivo dal caldo- il piombo- al freddo- la prima computerizzazione. Lo specifico a beneficio di tanti giovanissimi colleghi che non sempre hanno dimestichezza con quella archeologia industriale.

I testi cominciarono a vivere di vita propria, staccandosi dalla dipendenza esclusiva dell’autore professionale. Nel ciclo che dal giornalista arrivava alla pagina o alla messa in onda, i contenuti scorrevano su un circuito lungo il quale era possibile intervenire in maniera non sempre trasparente. 

caldo e freddo

Mentre prima, nella fase tradizionale della composizione a caldo, i giornalisti erano affiancati dai tipografi che esercitavano un controllo di trasparenza nelle operazioni editoriali, rendendo più complicate le manomissioni o interventi di autorità. Non a caso lo Statuto della redazione del Corriere prese forma anche con il contributo di un robusto e intraprendente Consiglio di fabbrica, che affiancava il Comitato di redazione.

La fabbricazione dell’informazione diventava un processo non meno rilevante della fase intellettuale: il come produrre tendeva a prevalere sul cosa produrre.

Ora siamo, dopo una sequenza di salti, alcuni dei quali consumati quasi all’insaputa della categoria, a un ennesima capriola, che trasforma radicalmente le modalità stesse di elaborazione dei contenuti.

protesi esterne

Il leggere e scrivere, le due funzioni che danno identità alla professione giornalistica non sono più funzioni psicologiche ed individuali, ma attività industriali, che si avvalgono di protesi esterne, attraverso le quali un giornalista legge e scrive  volumi di contenuti estremamente aumentati rispetto alle possibilità naturali. 

Queste protesi sono i nuovi persuasori occulti, sono i vocabolari che tendono a sovrapporsi al libero arbitrio del giornalista introducendo, in maniera subliminale, visioni, linguaggi, codici e valori esterni alla discrezionalità del singolo professionista.

La pubblicità si è impossessata di questa nuova forma di interferenza, adottando comportamenti e contenuti veicolabili proprio da questi nuovi codici. Lo stesso  ha fatto il potere politico-finanziario, usando forme di aggressione cyber per manomettere l’intera infosfera.

esperimento al foglio

Concretamente sto pensando ai nuovi dispositivi di intelligenza artificiale, che in cambio di scorciatoie comode e gratuite ci chiedono di adattarci alle loro condizioni nella selezione dei contenuti e nel loro trattamento.

L’esempio di quanto accaduto al Foglio con quell’esperimento, all’inizio presentato come un vero divertissement, in realtà si annuncia come la prima applicazione in un ciclo continuo di una protesi generativa. Per più di un mese quella redazione si divertiva a mandare in edicola un giornale gemello realizzato  “dall’intelligenza artificiale”, senza che nessuno, Ordine dei giornalisti, Federazione della stampa, colleghi autorevoli, si sognava di chiedere come si chiamasse quel convitato di pietra che si era seduto nella stanza del direttore. Quale era l’intelligenza artificiale scelta? Come era stata addestrata? Da chi? Con quali indicazioni da parte dell’editore e della direzione? Come era stata adattata al ciclo della testata? Come veniva aggiornata?

capacità neurali

Queste sono oggi le domande indispensabili che possono garantire la trasparenza e l’autonomia di una redazione. Più ancora che blindare le pagine rispetto a qualche incursione pubblicitaria di soppiatto.

Sono in gioco le capacità neurali di un intera categoria, la più esposta oggi, insieme ai medici e alla pubblica amministrazione, alle pressioni di una potenza di calcolo che sta circondando ogni attività intellettuale.

L’intelligenza artificiale non è un neutro singolare, ma un plurale identitario, ogni giornalista quando la cita, e ancora di più quando l’adotta ne deve circostanziare proprietà e gestione, altrimenti abdica alla sua missione di garante del diritto ad essere informati e a informare di tutti i cittadini.

centro della scena

In questa direzione va adeguata anche la tutela rispetto ai poteri commerciali ed economici che sempre di più sono scortati da sistemi generativi di contenuti per entrare in redazione. Google, Amazon, OpenAI, Facebook sono marchi prima di essere modi di fare e come tali vanno trattati, rompendo quel qualunquismo per cui si cita il proprietario per indicare la funzione.

Questa mi pare un’accortezza che potrebbe permettere alla categoria di riguadagnare il centro della scena rivendicando il proprio protagonismo  lungo tutta la filiera degli aggiornamenti tecnologici della redazione: dalla progettazione, alla selezione del partner, agli adattamenti, fino alla personalizzazione dei dispositivi.

Al di sotto di questa ambizione c’è un inesorabile declino di una mediazione che non troverebbe più interlocutori per essere vitale.

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