di GIAMPIERO GRAMAGLIA

La sfiducia nel multilateralismo affiora spesso, in questa fase della diplomazia internazionale: è alimentata dal nazionalismo di leader come il presidente Usa Donald Trump, che, consci della forza del proprio Paese, preferiscono affidarsi ai negoziati bilaterali; e dalla scarsa efficienza mostrata dalle organizzazioni sovranazionali nel risolvere i problemi. Le candeline sulla torta degli 80 anni dell’Onu, il cui statuto è in vigore dal 24 ottobre 1945, fanno luce fioca e si spengono subito.

Le Nazioni Unite non fermano le guerre in Ucraina e nel Medio Oriente; la Corte penale internazionale dell’Aja non ha i mezzi per il rispetto del diritto nei conflitti; la Omc non impone arbitrati sui contenziosi commerciali; l’Oms non riesce a prevenire la pandemia; l’Ue non coordina la risposta dei 27 alle migrazioni; gli Accordi di Parigi non frenano il riscaldamento globale: dietro ogni fallimento, il boicottaggio di uno o più Paesi.

attenzione in calo

La percezione di inefficienza si accompagna a un calo di attenzione dei media: pare un postulato, ma è un dato di fatto verificato da un’analisi quantitativa e qualitativa della copertura dell’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite fatta da 20 media di tutto il Mondo. La raccolta dei dati è stata fatta dalla classe di Giornalismo internazionale del corso di laurea in Marketing, comunicazione digitale e giornalismo del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale dell’Università La Sapienza di Roma, anno accademico 2024-’25. 

L’attenzione mediatica per la 79° sessione, iniziata il 10 settembre 2024 e il cui dibattito generale ad alto livello s’è svolto dal 24 settembre al 30 settembre, è stata particolarmente modesta, nonostante il gran numero di eventi diplomatici e di incontri multilaterali e bilaterali organizzati, come al solito, in coincidenza con l’appuntamento  e nonostante la svolgimento in contemporanea di almeno due conflitti di grande impatto mediatico, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la guerra di Israele nella Striscia di Gaza. Bisogna pure tenere conto del fatto che, al momento dell’Assemblea generale dell’autunno 2024, gli Stati Uniti non cavalcavano la marginalizzazione dell’Onu, come fanno dopo il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.

cause diverse

La constatazione dello scarso interesse dei media internazionali non sorprende e ha molte cause: alcune contingenti e altre strutturali, come stiamo per vedere. 

In tutto sono stati repertoriati 389 articoli. I media monitorati sono stati Corriere della Sera, la Repubblica, New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, Wall Street Journal, Financial Times, Le Monde, El Pais, Die Welt, Le Soir, La Tribune de Genève, Tass, Nuova Cina, Kyodo, Times of India, Al Jazeera, al Ahram, Jerusalem Post, O Globo, El Clarin.

E’ subito evidente che l’attenzione all’evento è per lo più discontinua, episodica: il percorso della settimana dell’Assemblea generale, ricco di eventi collaterali, non viene visto unitariamente e non viene raccontato con metodicità. Certamente, frammenti di quanto avviene all’Onu in quei giorni saranno entrati in articoli che trattavano degli sviluppi dei conflitti in Ucraina o in Medio Oriente o anche della campagna elettorale per Usa 2024, ma come paragrafi di altre storie.

cambiamento del clima

Fin dalla vigilia, il Washington Post gettava uno sguardo critico su questa passerella: vede un’Onu in crisi che cerca di salvare se stessa, più che di sanare almeno una delle beghe del Mondo. La Cnn faceva una previsione sferzante: “Un sacco di parole, pochi risultati”. Un esempio: il cambiamento del clima minaccia l’esistenza del Pianeta.
Come appena detto, le cause del relativo disinteresse mediatico sono molteplici. Fra le contingenti, specifiche della 79° sessione, c’è la presenza di relativamente pochi leader mondiali – non c’erano, ad esempio, i presidenti cinese Xi Jinping e russo Vladimir Putin, quest’ultimo anche perché colpito da un mandato di cattura per crimini di guerra della Corte penale internazionale –. E c’è pure il fatto che molti dei presenti non erano all’apice del loro potere.

Inoltre, alcuni potenziali protagonisti si erano tenuti lontani dall’Assemblea generale per evitare l’imbarazzo di dovere decidere se incontrare, o meno, Donald Trump, in quel momento candidato alla presidenza degli Stati Uniti. Fra i leader che non si sono fatti scrupolo di abbinare la presenza istituzionale – cioè il discorso dalla tribuna della plenaria al Palazzo di Vetro – e quella politica – cioè l’omaggio d’augurio al magnate -, ci sono il premier indiano Narendra Nodi e quello ungherese Viktor Orban,
Fra le cause strutturali della distrazione mediatica, c’è la consapevolezza, ormai radicata, che l’Assemblea generale s’è ridotta a una sorta di fiera delle vanità, dove ogni leader usa i suoi minuti per esporre la sua visione e la sua priorità a una platea sparuta di diplomatici e funzionari – è raro che altri leader siano presenti, a meno che non debbano parlare subito dopo. E, tendenzialmente, gli daranno spazio solo i media del suo Paese.

ragno di pace

Il dibattito generale, per com’è concepito, non è un appuntamento negoziale. Inutile dunque sperare che sui fronti di guerra tipo Medio Oriente e Ucraina si cavi un ragno di pace dai buchi dei conflitti: non c’è il clima e, soprattutto, non c’è la volontà, né da parte dei belligeranti né da parte di chi avrebbe voce in capitolo se volesse farsi sentire. Tant’è vero che sui temi controversi, come guerre o clima, vengono organizzati eventi a latere, spesso unilaterali: vi aderiscono solo quanti già la pensano allo stesso modo, rendendo gli esercizi una stucchevole successione di dichiarazioni concordi e improduttive. L’evento più atteso della 79° edizione, il Vertice sul Futuro, che precedeva l’Assemblea generale, s’è risolto, dopo quattro anni di preparazione diplomatica, in un catalogo d’impegni senza vincoli e senza scadenze.

Per il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres il problema “è come” attuare le dichiarazioni di intenti adottate dal Consiglio di Sicurezza e che, pur essendo vincolanti, rimangono spesso lettera morta. “Ci servono istituzioni forti e riforme, a partire da quella del Consiglio di Sicurezza”, diceva Guterres, che però sapeva benissimo che non ci sarebbe stata nessuna intesa in tal senso. “Vediamo divisioni geopolitiche fuori controllo e conflitti non governati, in Ucraina, Gaza, Sudan e oltre”, era l’analisi di Guterres, più sconsolata che propositiva.

risolvere i problemi

La disattenzione mediatica verso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e, più in generale, verso l’Onu è direttamente collegata alla crisi del multilateralismo, che il ritorno alla presidenza degli Usa di Trump non poteva che peggiorare. Nessuna delle Istituzioni della governance internazionale è oggi efficace e capace di risolvere i problemi: l’Onu, il G20, il G7, pure l’Ue, che ha processi decisionali più rodati, mancano di legittimazione – il G7 e il G20 – o, quando ce l’hanno, mancano di efficacia, perché sono spesso neutralizzati dal diritto di veto; e le alternative, tipo i Brics allargati, non hanno legittimazione e non hanno neppure coesione e tanto meno efficacia, se non declaratoria.

Così, gli appuntamenti si riducono spesso a riti. E il disinteresse dei media è segno che l’Istituzione non è percepita come incisiva. Eppure, un multilateralismo efficiente resta la via migliore per sanare o evitare i conflitti senza fare ricorso alle armi e per disincentivare le Grandi Potenze dal fare pesare, con protervia, la loro forza sugli Stati minori. E vi sono sfide, come il clima e la pandemia, ma anche la crescita e l’eradicazione della povertà e il fenomeno delle migrazioni, che possono essere vinte solo con un impegno globale.

Non si tratta quindi di sconfessare il multilateralismo, ma di accrescerne l’efficacia: un’impresa che passa attraverso una riforma dei meccanismi di decisione dell’Onu, fatica di Sisifo di cui si discute da un quarto di secolo senza approdare a risultati. E il ritorno di Trump alla Casa Bianca addensa, nel breve termine, nubi, non solo mediatiche, sul multilateralismo in tutte le sue forme.

(hanno collaborato all’analisi dei dati Camilla Golia e Letizia Toscano; hanno raccolto i dati Sara Cacciarini, Isabella Caforio, Daniela Carangi, Andrea Clerici, Ilaria Delmonaco, Edoardo Fasciglione, Allegra Flamini, Elisa Fralleoni, Maria Bruna Franco, Marco Gesué, Camilla Golia, Sofia Gonzales Losa, Sara Hoxha, Damiano Legni, Manuel Manfré, Nicole Mattei, Maria Chiara Monti, Valeria Moschetto, Leonardo Musio, Manuel Palumbo, Leonardo Passeri, Chiara Primavera, Sabrina Rakotozanany Rojolalaina, Emanuele Rossi, Angelo Ruggiero, Federico Ruta, Shania Sargentoni, Derai Sarrasi Puyuelo, Lorenzo Scattareggia, Lorenza Suriano, Letizia Toscano, Chiara Vecchione, Enrico Villani)

(nella foto, l’Assemblea generale Onu, a New York)

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