di MICHELE MEZZA

E’ morto il re, viva il re.

Il motto delle monarchie assolutiste del XVII secolo potremmo adattarlo al giornalismo. I dati che ci vengono scanditi inesorabilmente dall’annuale report dell’agenzia Reuters, sembrano proprio documentare che se il giornalismo, cosi come lo conosciamo -come pratica specifica di una data figura professionale, inquadrata in uno spazio aziendale delimitato, con un’attitudine artigianale nel maneggiare le informazioni- è in via di dissolvimento, in cambio la produzione e lo scambio di informazioni come linguaggio della vita e attività tipica della popolazione attiva diventa sempre più diffuso e irrinunciabile.

E’ in corso un  drastico cambio antropologico, che muta tutti i tratti del giornalismo come storicamente si è affermato: passiamo dalla Infosfera -come Luciano Floridi chiama il mondo caratterizzato da un permanente flusso di news ancora gestito da professionisti- alla Biosfera, ossia uno spazio che coincide esattamente con la vita di tutti gli umani, che si scambiano informazioni per la propria esistenza, come sostiene Maurizio Ferraris.  

ragnatela di connessioni

La vera innovazione tecnologica che sta ridisegnando questo mondo è proprio il web, ossia quella ragnatela di connessioni planetarie che permette ad ogni abitante terrestre di produrre e trasmettere contenuti con una gittata globale. Questa ragnatela poi fa da moltiplicatore per ogni fenomeno o applicazione che vi si appoggia, dai social allo streaming, dalle app individuali all’Intelligenza artificiale. La materia prima di questa Biosfera è appunto la notizia, un contenuto che svela, aggiunge, qualifica, o commenta eventi e relazioni in un brusio continuo.

Immersi in questo plancton siamo tutti noi  che in qualche modo apparteniamo a quella frazione infinitesimale di umanità  che vive raccogliendo ed elaborando informazioni firmate, identificabili e di qualità superiore alla media.

infosfera e biosfera

Nella fase precedente, quella dell’Infosfera, caratterizzata da una penuria di informazioni e dalla riservatezza di ogni azione, il giornalismo era l’unico modo per poter acquisire conoscenze sull’attualità. E per questo era stato creato un sistema economico che lo finanziasse e tutelasse. Ora che i dati ci dicono che siamo in un regime di abbondanza delle notizie, prodotte dalla tracciabilità trasparente di gran parte delle nostre azioni, cambia il sistema che non retribuisce più quanto  è reperibile gratuitamente.

Il report di Reuters, una struttura di grande reputazione giornalistica, che con la sua attività ci indica quali siano le possibili eccezioni, spiega  in maniera inesorabile la tendenza: la resistenza a riconoscere un valore economico alla qualità delle informazioni si riduce sensibilmente, lo stesso fabbisogno di queste informazioni formattate dai professionisti svanisce, il web diventa sempre più lo spazio pubblico in cui scambiare i propri dati con i flussi informativi che di volta in volta possono essere utili, la pubblicità da media ponderata di una massa diventa sempre più relazione privilegiata con un moltitudine di individui, presi uno per uno. Il vettore di tutto questo è il telefonino, che con la sua mobilità associa il messaggio, bi-direzionale, dal singolo utente alla massa e viceversa dalla massa all’utente, alla decisione, esattamente alla viglia di un acquisto o di una scelta.

siti tribali

Già il prossimo anno il report della Reuters si predispone ad accogliere la nuova rivoluzione: la combinazione di pulviscolare mobilità dei telefonini con la potenza di elaborazione dell’Intelligenza artificiale. Il tutto moltiplicato dal web, ossia da una continua connessione di contenuti e ricerche.

L’epilogo sembra già indicato dalle classifiche: i siti web più cercati per avere notizie confermative sono quelli tribali, ossia che diventano identificativi di uno stile o un linguaggio culturale, come Fanpage e Tgcom24, che sono esattamente agli antipodi. Distanziati i salotti di campagna del Corriere della Sera e di Repubblica. Galleggiano le comunità , come il Tg7. Mentre la Rai per trovarla dobbiamo andare nella riserva indiana delle emittenti radio televisive: preciso, non dei siti delle emittenti, ma dell’audience delle singole reti tv o radio, con una connotazione anagrafica vicina ai massimali Inps.

pericolo e opportunità

Come dicevano i cinesi, il concetto di crisi ci rimanda a grande pericolo, ma anche a grande opportunità.

Il primo è facilmente intuibile, la seconda è ancora materia di discussione. Che fare se tutto cambia? Il Pontefice, nella sua incursione al G7 sull’Intelligenza artificiale, ha dato un messaggio utile e importante: la tecnologia sta cambiando tutto, ma la politica deve cambiare la tecnologia.

Due affermazioni che ancora non sono metabolizzate dal mondo del giornalismo. La tecnologia, leggi soprattutto la personalizzazione dell’Intelligenza artificiale, sta cambiando tutto, anche se a volte sbaglia la data di nascita di Napoleone. Ma la politica, nel nostro caso, le strategie sindacali e professionali possono interferire e deviare il destino che sembra irrimediabile. 

Nella nuova economia editoriale, ma più in generale, nella vita complessiva, tutto si baserà sull’uso delle parole. L’addestramento dei sistemi intelligenti sarà basato sulla capacità di organizzare vocabolari e riprogrammare modelli semantici. Chi, come i giornalisti, nasce come artigiano della parola dovrebbe trovare forme e contenuti per contrattare con i propri editori, ma soprattutto con i fornitori dei propri editori aggettivi e sostantivi, diventando i tutor dei sistemi intelligenti e governandone l’evoluzione. Forse meno emozionante di un grande reportage, ma più sicuro e confortante di una grande estinzione.

 

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