di CLAUDIO LAZZARO

La trasmissione di Maria Latella su SkyTg24 mi ha fatto venire in mente quello che disse quasi trent’anni fa Giorgio Bocca, quando andai a intervistarlo nella sua casa, molto elegante, in una via esclusiva e discreta nel centro di Milano.

Una trasmissione, in onda ogni venerdì alle 21, che lei chiama “dinner talk” perché l’idea è quella di attovagliare, con leccornie vere da consumarsi tra una chiacchera e l’altra, una compagnia mista di politici, dal ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, quello che “bisogna umiliare i giovani”, al ministro della Difesa Crosetto, a Calenda, Boccia, Paola De Micheli, Ettore Rosato, Matteo Richetti. 

Per insaporire la minestra magari un’attrice, uno scrittore e, per aiutarla a cucinare gli ospiti, qualche giornalista complice, tipo Tommaso Labate.

salotti romani

È come se Maria Latella volesse ammiccare ai fasti dei salotti romani di un tempo, quello di Maria Angiolillo, dove si combinavano affari, e quello di Sandra Verusio, più elitario, prediletto dalla sinistra. Lei invita gli ospiti, sia politici che giornalisti, a darsi del tu. La trasmissione regala qualche effetto comico, perché mentre uno parla e si sforza di articolare il concetto, gli altri “magnano”, ma il salotto rimane nel complesso algido, anche un po’ noioso, perché a tavola non si litiga. Se poi qualcuno si scalda e sta per alzare la voce, lei subito interrompe trillando un “cosa ne pensate di questo risotto?”

Perché tutto questo mi ricorda Giorgio Bocca? Perché lui mi disse: “I politici io non li frequento. Noi li dobbiamo controllare, fare il cane da guardia, come dicono gli americani. Se vai a cena col politico, magari ti risulta simpatico e alla fine scordi di fare il tuo lavoro”.

sechi e montanelli

Questa frase, che avevo appuntato, poi non la misi nel pezzo, perché riguardava altro: era il 1995 ed ero andato da Bocca per farmi raccontare i suoi anni all’Europeo, la gloriosa testata che anch’io avevo servito, nel momento triste in cui stava chiudendo. 

Non la misi anche perché mi pareva scontata. Altri grandi maestri di giornalismo, come Lamberto Sechi e Indro Montanelli, con altre parole, avevano detto la stessa cosa.

E qui entriamo nella vexata quaestio, da manuale di giornalismo, dei rapporti tra media e politica.

linea diretta

I politici si servono dei giornalisti per far sapere agli elettori cosa fanno di buono e vorrebbero essere incensati. Non sempre lo sono, quindi attraverso i social cercano di creare una linea diretta con il loro pubblico (con risultati a volte grotteschi, a volte disastrosi).

I giornalisti non possono fare a meno dei politici, che sono fonte d’informazione insostituibile, ma (alcuni) vorrebbero essere liberi di raccontare le cose come stanno.

Poi non bisogna dimenticare che spesso (quasi sempre) esiste un rapporto stretto tra i politici e le proprietà di giornali, con le inevitabili conseguenze limitanti e liberticide.

gli stessi ristoranti

I giornalisti dovrebbero essere i rappresentanti della popolazione dentro i palazzi del potere, esercitare una mediazione tra politica e cittadini, pronti a denunciare corruzione e scandali. 

Ma i giornalisti che contano, non quelli da dieci euro a pezzo, quelli che hanno fatto carriera, spesso frequentano gli stessi ristoranti che accolgono i politici, mandano i figli nelle stesse scuole che svezzano i figli dei politici. E così nascono gli attovagliamenti, il consociativismo, il pappa e ciccia.

In questo senso la trasmissione di Sky, A cena da Maria Latella, si mostra in linea coi tempi.

Che però cambiano, ci sono cicli, corsi e ricorsi. Trent’anni fa prevaleva la linea Bocca, Montanelli, Lamberto Sechi.

meglio che lavorare

Dieci anni fa c’era un altro Sechi, Mario, ex direttore del Tempo, che si candidava alle elezioni, assieme a una pattuglia di colleghi vogliosi farsi politici: Augusto Minzolini, Corradino Mineo, Sandro Ruotolo, Massimo Mucchetti, Oscar Giannino. 

Allora Enrico Mentana twittò: “Del giornalismo si diceva: sempre meglio che lavorare. Della vostra scelta dico lo stesso”. 

Antonello Piroso gli rispose: “Va bene. Ma fare i politici è sempre meglio che fare i giornalisti”.

Allo stesso modo la pensarono alcuni colleghi, riusciti a transitare da una professione all’altra. Nel passato, tra i più illustri, Giovanni Spadolini, nel 1953 chiamato alla direzione del Corriere della Sera, nel 1981 nominato presidente del Consiglio. E, prima di lui, quello che ha avuto un certo peso e adesso è tornato in voga. Quel crapone di Benito Mussolini.

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