di MICHELE MEZZA

Non credo sia un caso che proprio nel pieno del terribile gorgo della guerra in Ucraina si siano smosse le acque dell’Ordine dei giornalisti, che sta procedendo ad un riordino dei requisiti per il riconoscimento professionale. 

Si tratta di un’operazione certo non facile e tanto meno indolore. Al momento pare di capire che siamo alla bonifica del sottobosco del precariato, dove editori e pubblica amministrazione hanno camuffato rapporti di lavoro professionali con furbizie contrattuali. Emerge però già una prima svolta con il riconoscimento dei Social media manager come giornalisti a tutto tondo.

riformattare il senso

Una decisione che apre una porta che da tempo sbarrava il passo a colleghi che già svolgono funzioni redazionali, sia con la gestione dei siti che con l’aggiornamento dei gruppi social. Ma il nodo che si sta ponendo, e la tragica esperienza della guerra ci aiuta a rendere più visibile, riguarda due passaggi:

1) innanzitutto la permanenza di requisiti legati ad attività tradizionalmente redazionali, quali la scrittura e impaginazione di testi;

2) la concezione di un’attività giornalistica che ormai si realizza sempre più coordinando e combinando contenuti e manufatti altrui.

Sono questi due punti che tendono a riformattare il senso della professione in quella ancora problematica e non sempre riconosciuta transizione al digitale.

estrazione di contenuti

Le esperienze soprattutto estere, a cominciare dal mercato di riferimento per antonomasia che è quello americano, ci dicono proprio che le redazioni stanno vivendo un turn over professionale che vede, come spiega Jill Abramson nel suo ancora poco assimilato saggio “Mercanti di Verità” (Sellerio), “uscire letterati ed entrare ingegneri”.

Un fenomeno legato ai processi di automatizzazione di parti pregiate dell’attività giornalistica, come la ricerca delle fonti, la scrittura dei testi, il montaggio dei video, la pubblicazione dei contenuti. L’esperienza maturata appunto in Ucraina ci dice come direttamente le unità militari producono e diffondono materiali audiovisivi di documentazione dei combattimenti, combinando, come sempre in guerra, verità a propaganda, con la differenza che oggi proprio il ricorso a tecnologie automatiche, permette di produrre e pubblicare quantità industriali di questi documenti. I colleghi al fronte o al desk che si occupano del tema sono ovviamente costretti a monitorare questo flusso ed a estrarre i contenuti scelti con il supporto di agenti intelligenti. Quale struttura semantica hanno questi agenti che lavorano accanto e spesso in sostituzione del redattore? È una domanda che rimane sospesa, per l’impossibilità che ha la componente giornalistica di interfacciarsi con i fornitori della testata. Un secondo aspetto riguarda il modo di editare e confezionare gli stessi contenuti che poi devono essere pubblicati su siti e spazi della testata o diffusi negli spazi delle stesse grandi piattaforme. Anche quest’operazione viene svolta con il supporto di sistemi intelligenti che valutano e misurano le condizioni più opportune per valorizzare quel contenuto rispetto a quella platea.

 competenze da integrare

Questo lavoro, che ormai corrisponde ad un segmento rilevante della catena del valore della produzione giornalistica, è svolto da figure professionali che fino ad oggi sono considerati poco più che tecnici di produzione, supporti, consulenti, esperti, ma non componenti a pieno titolo  della redazione. La conseguenza è che da una parte queste figure rifluiscono in un rapporto gerarchico con i responsabili amministrativi dell’editore, e dall’altro la redazione si trova meno preparata ed informata per controllare e condizionare le strategie tecnologiche della proprietà.

Diventa così interesse primario dei giornalisti, di quella componente che lavora nelle testate con un direttore responsabile, combinarsi e integrarsi con competenze che oggi completano e perfezionano il lavoro editoriale. Questo comporta anche -e sarebbe un passaggio decisivo ai fini contrattuali e dell’aggiornamento della struttura organizzativa di una redazione ancora articolata sullo schema della tipografia- riconoscere come il lavoro di brokeraggio dei contenuti, ossia non di produzione, nemmeno mascherata come avviene con il copia e incolla, ma proprio l’esplicita post produzione su materiali di rete, sia oggi una delle attività primarie del mondo dell’informazione. Ricordiamoci che il nostro mestiere prende forma ed è ancora disegnato secondo una logica in cui le notizie erano poche, riservate e costose.

l’era della “mediamorfosi”

Oggi agiamo in uno scenario in cui le informazioni sono infinite, pubbliche e praticamente gratuite. Una mutazione, una vera “mediamorfosi”, che trasforma sia le ragioni di scambio che i profili retributivi in una redazione. La centralità del video, il pregio del montaggio, la capacità di ricerca e selezione dei flussi, sono ormai caratteristiche portanti, che designano una nuova leva di giornalisti che non hanno bisogno né di tutoraggio né di esami di validazione, ma devono potersi misurare alla pari con tutti gli altri colleghi.

Per fare questo diventa inevitabile una rivisitazione sia delle norme che delle procedure, a cominciare da quel malinconico retaggio di un tempo che fu: l’esame di ammissione all’Ordine. Quella prova deve oggi verificare la reale esperienza e pratica e rivelare le abilita e capacità che si sono espresse e soprattutto potranno essere incrementate. Infatti l’altro elemento che dovremo considerare nella riforma del sistema riguarda l’instabilità di tutto questo orizzonte che tende ormai a mutare ad un ritmo sempre più serrato e pretende da parte degli interpreti flessibilità, ma anche visione per anticipare quelle strategie che possono stravolgere le linee professionali.

conferenza di produzione

Una tale manovra deve essere sorretta dalla consapevolezza più estesa della categoria. Per questo sarebbe auspicabile una specie di conferenza di produzione della categoria, in cui Ordine e Fnsi promuovano una ricerca sulla materialità del lavoro nelle redazioni, condividendo con i Comitati di redazione i passaggi normativi più innovativi.

Chiudo con una ultima considerazione. Al fondo di questo adeguamento dell’informazione alla realtà c’è un tema che è all’ordine del giorno anche di altre professioni, come i medici o gli avvocati e magistrati, o i dipendenti pubblici: la ricomposizione del proprio know how professionale con il mondo dell’informatica. Non possiamo ancora vivere la dimensione della programmazione digitale come materia esoterica da demandare agli esperti, bensì come linguaggio essenziale da padroneggiare e intrecciare ad ogni singola nostra attività. In particolare per i giornalisti l’operazione è più ambiziosa, ma necessaria. Ritrovare quella sintonia fra informazione e programmazione digitale che nel dopoguerra venne spezzata per una distorsione culturale imposta dai processi economici, che puntarono ad ingegnerizzare separatamente le attività dell’informatica rispetto al mondo dell’informazione. Oggi si deve ricomporre questa forbice, dando alla scienza del calcolo valori, regole e codici che proprio i giornalisti hanno maturato in un secolo e mezzo di vita.

LASCIA UN COMMENTO