Un corso di formazione sull’invasione della pubblicità nel giornalismo. Che si propone di “ritrovare un equilibrio fra due mondi complementari”.

E’ la prima volta che le istituzioni del giornalismo affrontano direttamente il tema, per cominciare a far discutere la categoria. Il corso si svolgerà a Roma il 10 ottobre, dalle 10 alle 14, in una sala dell’Università del Foro Italico, in via dei Robilant 1. Per iscriversi, si deve andare sulla piattaforma www.formazionegiornalisti.it

Parteciperanno direttori ed ex direttori, come Bruno Manfellotto (Gazzetta di Mantova, Il Tirreno, L’Espresso), Francesco Piccinini (Fanpage, Deepinto), Gianni Riotta (Sole 24 Ore, Master Luiss), Luciano Tancredi (Il Tirreno), e interverranno Fiorenza Sarzanini (Corriere della Sera), Stefano Feltri (Domani), Giuseppe De Bellis (Sky Tg24). Parteciperà il professor Christian Ruggiero (Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Sapienza), che con i suoi studenti sta approfondendo l’argomento in seminari e tesi di laurea. Parteciperanno il Comitato di redazione di la Repubblica, Daniele Chieffi, giornalista, docente universitario ed esperto di marketing, Bianca Arrighini, co-fondatrice di Factanza, innovativo organo d’informazione su Instagram. Interverrà il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Carlo Bartoli. Relazione introduttiva di Raffaele Fiengo, storico leader del Cdr del Corriere della Sera, studioso del giornalismo internazionale, titolare di un corso alla Sapienza sulla materia.

il “muro” abbattuto

Il corso intende esaminare come la pubblicità stia abbattendo il “muro” che storicamente la divideva dall’informazione. Ecco quindi gli articoli che contengono brand, cioè indicazioni di marchi e marche, ecco il native journalism, articoli pubblicitari scritti con lo stesso stile del mezzo di informazione su cui compaiono. Ecco gli inserti sulla moda e gli orologi, le pagine sugli “Eventi”, culturali, sportivi, di settore. Si discuterà inoltre sull’aggiornamento delle norme deontologiche sulla materia, ferme al 1988, quando la situazione era radicalmente diversa.

Negli Stati Uniti il muro è stato attaccato da tempo, lo ha raccontato Jill Abramson, ex direttrice del New York Times, attraverso i casi di Vice e Buzzfeed e la resistenza di New York Times e Washington Post. La pubblicità tende sempre più a non avere sui media spazi specifici, ma a mescolarsi, mimetizzarsi negli articoli di informazione. Il giornalismo tende a cedere a queste pressioni, per non perdere mezzi di sostegno indispensabili per la sopravvivenza. La questione di fondo è la trasparenza: lettori, spettatori, ascoltatori, utenti devono sapere se i pezzi che leggono rispondono alle regole e alla deontologia giornalistica, oppure sono sponsorizzate da un brand. Nei nuovi media che sono solo sul web e nei nuovi media ospitati sui social questa cosiddetta “brandizzazione” dei contenuti è molto frequente.

ferragni e nutella

Su Professione Reporter negli ultimi tre anni più volte sono state date notizie sul tema. Dalle pagine di pubblicità delle Ferrovie dello Stato pubblicate sul Corriere della Sera in contemporanea con una mega intervista all’amministratore delegato delle Ferrovie. Al pezzo su Repubblica su una visita a Roma di Chiara Ferragni, Fedez e bimbi pieno di marche di moda, nomi di ristoranti, indicazioni su location. Poi, l’intervista a Federer con marchio Barilla in vista e domande sulla pasta, l’ampio articolo sulla Stampa intitolato “Riaprono gli Apple stores”. I biscotti alla Nutella scomparsi dagli scaffali degli supermercati, la nascita degli ambassadors (volti noti intervistati su orologi e profumi), le quattro redazioni di Repubblica contro la pubblicità mascherata sul sito.

Tema di fondo resta sempre la chiarezza nei confronti di chi legge, guarda, ascolta.

(nella foto, un’intervista al Ct della Nazionale di calcio, Mancini, con marchio nella titolazione, dal  Corriere della Sera, giugno 2021)

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