di ANTONIO DE FLORIO

Gianni era dolcissimo e fumantino allo stesso tempo. L’ho conosciuto più di dieci anni fa a una conferenza stampa di Francesca Schiavone, che aveva appena passato un turno a Wimbledon. Gianni Clerici le chiese se la leonessa (nomignolo, che forse le aveva appioppato proprio lui) fosse tornata a ruggire… E lei: “Voi giornalisti dovete smetterla di chiamarmi così”. Non l’avesse mai detto. Gianni da persona affabile divenne un leone e alla Schiavone replicò che lei non doveva permettersi di apostrofarlo come “giornalista”, perché lui era un semplice scriba e non poteva essere accomunato con nessuno. Abbandonò la conferenza stampa e non ci mise più piede quell’anno e negli anni successivi. Era così: un aristocratico del tennis e della scrittura.

Al Press Center di Wimbledon la mattina era tra i primi ad arrivare. Condividevo questo privilegio per la mia insonnia. Alla macchinetta del caffè il primo commento: Repubblica mi ha dato le solite 40-50 righe striminzite di spalla… Gianni preferisco leggerti altrove, nei tuoi libri. E lui si illuminava e ribatteva: ma va là.

lungo i vialetti

Gli raccontai che un amico di mio figlio, Guido, aveva assistito a una match vicino a lui ed era rimasto folgorato dalle sue parole. Gianni si ricordò perfettamente di questo ragazzo gracilino e molto educato, compagno di una partita. Gianni era un peripatetico. Gli piaceva tantissimo passeggiare lungo i vialetti di Wimbledon, il nostro Eden, e raccontare.

Un giorno incontrò Ernest Hemingway in un baretto di Pamplona. Ma dai Gianni… Sì, ho origliato quello che diceva a un amico. Parlava di un torero, Romero, ucciso dal torello di cui si era innamorato. Al grande scrittore americano Gianni si presentò come ammiratore e scriba, chiedendo se Romero fosse al centro del suo nuovo romanzo. E lui rispose con la proposta di un gentlemen’s agreement: se lui non avesse utilizzato quella storia, avrebbe potuta scriverla l’interlocutore appena conosciuto.

bottiglia di champagne

Qualche tempo dopo mi inviò una copia di “Quello del tennis”, appena edito. C’era la storia del torero Romero, ereditata da Hemingway. Con questo biglietto che conservo come una reliquia: “Caro Antonio, non sono in molti, oltre a noi, ad aver giocato a Wimbledon. Alla prossima edizione! Gianni”. Era un uomo generoso. Avevo partecipato al torneo dei giornalisti accreditati a Wimbledon, vincendo una bottiglia di Champagne che la sera avevamo bevuto assieme al ristorante. Gianni nobilitò questa partecipazione con quelle righe. Lui, invece, aveva partecipato al Wimbledon vero, all’età di 23 anni, dopo aver raggiunto Londra in Topolino.

Porterò nel cuore quelle lunghe passeggiate e quelle cene offerte il giovedì ai giornalisti dal Wimbledon Club. Al termine mi chiedeva mezzo toscano, che fumava con orgoglio, facendo il giro dei tavoli. 

(nella foto, Ernest Hemingway alla corrida)

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