di GIOVANNI LANDI

C’è stato un tempo in cui la tappa in edicola era un appuntamento mattutino, immancabile e scontato. E in cui vendere giornali garantiva benessere e sicurezza a intere famiglie. Di questo mondo di carta oggi resta soltanto la resistenza, talvolta la frustrazione.

L’avvenire non è più solo incerto, ma desolante. I milioni di lettori che si affacciavano ogni giorno ai chioschi verdi hanno lasciato il posto a un nocciolo duro, sempre più precario e fluttuante, dove basta un soffio di vento a spingere un irriducibile ad abbandonare il profumo dell’inchiostro. I lettori che desistono o muoiono non vengono mai sostituti dalle nuove generazioni, e le attività che chiudono stentano a trovare eredi o acquirenti.

10mila euro l’anno

Di fronte a un mercato in perenne contrazione un investimento del genere è un salto nel buio. O una pazzia. All’inizio del nuovo millennio le edicole italiane erano 36mila, una ogni 1500 abitanti. Oggi sono meno della metà, circa 15mila, cioè una ogni 4mila persone. La media nazionale è di due chiusure al giorno, con il record negativo registrato nel primo semestre nel 2020, quello del lockdown: 1500 saracinesche abbassate. Più della metà dei gestori riportano utili inferiori ai 10mila euro annui.

L’ultimo triennio, in realtà, ha visto un rinnovato interesse per i prodotti editoriali classici. Alcune iniziative hanno entusiasmato anche l’universo giovanile, lasciando intravedere la possibilità di un progressivo ritorno alla carta, seppure in chiave elitaria. Ne sono esempi le testate Domani e Verità&Affari, oltre ai nuovi periodici L’essenziale, Tpi e la rivista di geopolitica Domino, fondata ad aprile da Dario Fabbri ed Enrico Mentana. A leggere i dati più recenti sui quotidiani, però, non si può che tornare a un crudo realismo: un milione e duecentomila copie acquistate ogni giorno in Italia, l’11% in meno rispetto allo scorso anno. Segno negativo per tutti, salvo il fenomeno La Verità e La Gazzetta dello Sport, che però sta recuperando il tonfo subito in pandemia. I grandi settimanali hanno smesso da tempo di essere attori essenziali del dibattito pubblico, se non per le dispute sui loro stessi proprietari. Solo l’enigmistica tiene la rotta, ma per quanto ancora potrà farlo, vista l’età media dei suoi utenti? 

da torino a nuoro

Quando si racconta la forte crisi della carta stampata, si rammenta raramente di citare l’ultima ruota del carro: i rivenditori. Amarezza e romanticismo sono le chiavi narrative preferite da chi oggi descrive le difficoltà del settore. A dimostrazione di come questi luoghi siano molto più di entità fungibili e sacrificabili. L’ultimo esempio è il numero del 19 marzo di Robinson, supplemento settimanale di Repubblica: “Nuova Edicola Paradiso” è l’evocativo titolo. Il primo articolo, “Come si cambia per non morire e per amore”, è firmato da Maurizio Crosetti ed è un viaggio fra i giornalai torinesi, “un mondo complesso, residuale e mutante”, che si industria come può e allarga di continuo i suoi prodotti. Le combattive attività sono paragonate ai giochi e ai rebus in esse esposti: “Anche le romantiche edicole, in fondo, sono un enigma destinato ai solutori più che abili”. Nel 2019, sempre su Repubblica, Sergio Rizzo ha curato un reportage a puntate sul tema, intervistando giornalai di ogni parte d’Italia. Il viaggio partì il 30 aprile da Posada, un paesino in provincia di Nuoro dove una giovane donna, “con un coraggio da leone e una punta di follia”, aveva riaperto l’edicola del borgo. Da tre anni, poi, La Nazione porta avanti una campagna a sostegno della categoria: comunica ogni sabato gli esercizi aperti l’indomani, con i relativi indirizzi, e dedica pezzi-interviste ai titolari “che non si arrendono”. Infine, va citata la scelta del governo di inserire le edicole fra le attività essenziali, consentendo la loro apertura durante tutte le fasi dell’emergenza sanitaria; ciò ha riacceso un faro sulla loro valenza pubblica e sociale.

romantici eroi

Dietro i riconoscimenti collettivi e le etichette di “eroismo”, però, c’è la cruda realtà di ogni giorno. Nel novembre del 2018 destò un certo scalpore l’inchiesta di Report “Edicole SOS”: un quadro doloroso in cui solo le gestioni familiari riescono a reggere, peraltro con ricavi minimi. Se la vita di un piccolo commerciante è densa di rinunce, quella di un edicolante lo è particolarmente. Sveglia alle 4.30 del mattino, giornate interminabili, aperture nei festivi, impossibilità di impiegare dipendenti, difficoltà a districarsi fra le richieste dei clienti e la rigidità dei distributori. Il tutto aggravato, appunto, da guadagni insoddisfacenti, nonché dall’impatto psicologico di fronte a un’utenza che diminuisce senza sosta. La liberalizzazione di Bersani, che ha esteso la compravendita dei prodotti editoriali a supermercati e stazioni di servizio, non ha aiutato. Va poi ricordato che l’accordo nazionale fra editori e rivenditori non viene aggiornato dal 2005. La percentuale sulla vendita di giornali e riviste è ferma al 18% lordo, che netto fa qualcosa come dieci centesimi a copia. Alcuni titolari hanno iniziato a restare chiusi il pomeriggio, quando gli affari diminuiscono visibilmente.

viaggiatori dei treni

Prendiamo il caso di Perugia. Negli ultimi anni il solo centro del capoluogo umbro, forte di ben due Atenei, degli uffici giudiziari e di un’intensa vita culturale, ha visto morire ben sei chioschi. Smontato il gazebo nel cuore del quartiere universitario, così come quello di fronte all’Università per Stranieri. Anche il punto vendita della stazione ferroviaria ha la serranda abbassata, il che invita a un’ulteriore riflessione: pure i viaggiatori dei treni, un tempo voraci lettori, si accontentano ormai della compagnia degli smartphone. Cesarina Chiacchiera gestisce dal 1996 l’edicola di via Innamorati, a pochi passi dal rettorato, e lamenta un calo del fatturato di oltre il 50% dall’inizio della crisi. “Se mi sono salvata” ammette, “è perché ho vicino le scuole. In un anno ho venduto 12.500 figurine ‘Amici Cucciolotti’, mentre di giornali ne vendo sempre meno”. L’Umbria può contare su poco più di 500 edicole, ma negli ultimi dieci anni ne ha perse oltre 150. Ancora più eloquente è il dato delle società di distribuzione: ai tempi d’oro erano addirittura quattordici, mentre oggi è sopravvissuta solo l’Umbria Distribuzione Stampa di Spoleto, attiva da oltre mezzo secolo sotto la direzione di Gianni Conti. “La situazione è drammatica” dice l’imprenditore, “soprattutto per i piccoli borghi. Le loro edicole sono una finestra sul mondo e quando chiudono non vengono più sostituite”.

liti con i distributori

Alla crisi economica si deve aggiungere un rapporto difficile con il settore distributivo. Il sistema non sempre è efficiente: a volte insiste su prodotti poco appetibili e fa sudare chi desidera qualcosa, come gli arretrati delle collane e delle collezioni. Se si sfoglia una qualsiasi rivista di categoria si trovano continue lamentele a riguardo. Come è noto, alla carta stampata si applica il “contratto estimatorio” o di “conto vendita”, un metodo che permette all’esercente di restituire l’invenduto all’editore, il quale si addossa il rischio d’impresa. Tuttavia, i malintesi sulle rese sono piuttosto frequenti, poiché molte copie si perdono nel circuito, e ciò a causa degli errori dei dipendenti o dei contatori elettronici, che funzionano con tapis roulant e scanner. Ebbene, quando non c’è accordo sulle cifre a soccombere sono quasi sempre gli edicolanti, che non hanno prove se non la loro certezza. E non mancano situazioni in cui i numeri sottratti in malafede, per esempio dai trasportatori, vengono mercanteggiati in nero per ricavarne un guadagno pieno. Antonio P. gestisce un’attività ad Agropoli, in provincia di Salerno. Dopo mesi di liti con il distributore locale, che smentiva puntualmente i suoi conteggi e negava i relativi rimborsi, due anni fa si è sentito costretto a installare le telecamere nel baracchino di ferro, riuscendo solo così a dimostrare che non era lui a sbagliare. “Da allora la situazione è notevolmente migliorata, ma ho vissuto un periodo di grande disagio. Ogni mattina trovavo qualche plico più leggero del dovuto e dovevo prepararmi a un’altra schermaglia. Purtroppo non sono l’unico ad aver avuto questo tipo di problema. Molti però preferiscono subire”. Nel centro di Agropoli sono sparite quattro edicole in pochi anni, ma Antonio confida di aver guadagnato appena una ventina di clienti, segno di come molte persone, di fronte alla chiusura del rivenditore di fiducia, semplicemente rinuncino all’acquisto.

gratta e vinci e souvenir

Per resistere alla crisi, Antonio ora vende anche cartucce per stampanti, sistemate sulla parete interna del suo gazebo. Quasi tutti i colleghi, del resto, hanno scelto la diversificazione come strategia di sopravvivenza. Si è iniziato con i giocattoli, gli articoli di cancelleria, i souvenir, i gratta e vinci e i biglietti dell’autobus, per proseguire con una serie di servizi come il ritiro pacchi, le ricariche telefoniche e il pagamento bollette, fino ai certificati anagrafici. L’aggio su biglietti e abbonamenti è il 4%, mentre sulle ricariche si ferma allo 0,8-0,9 per cento. Molto poco, ma l’idea era quella di invogliare più persone a recarsi al bancone e, magari, comprare qualcosa. 

Questo modello di hub multifunzione al servizio del cittadino, se ha fatto storcere il naso a molti addetti ai lavori, preoccupati da uno snaturamento della loro funzione, ha ispirato la nascita della rete Quotidiana. Fondata nel 2020 con un investimento di due milioni di euro, la società ha rilevato ventiquattro esercizi solo a Milano e punta a raggiungere il numero di cinquanta entro l’anno. In pratica, una catena di edicole “firmate” che insieme a giornali e riviste vende alimentari, bevande e prodotti para-farmaceutici, oltre a fornire la possibilità di prenotare servizi di baby-sitting, badanti e lavori casalinghi. Gli edicolanti, per lo più giovani, lavorano a turno come normali impiegati. Lo slogan dell’azienda è chiaro: “La spesa tutti i giorni in edicola”. Edoardo Scarpellini, amministratore delegato di Quotidiana, ha spiegato come la sua volontà fosse sfruttare la capillarità territoriale dei gazebi in una nuova chiave. “È ormai chiaro” -ha dichiarato a Il Post- che la sola vendita dei giornali non può portare a una sostenibilità delle edicole, nemmeno con conduzione familiare. Noi ne proponiamo un’evoluzione, ma abbiamo passato un primo anno tempestoso, lottando per superare le resistenze a questa visione, anche da parte dei rappresentanti del settore”. 

presìdi della democrazia

In effetti, due sindacati di categoria su tre, Sinagi e Snag, si sono esposti pubblicamente contro l’eccessiva diversificazione: “Non c’è nulla di innovativo nel voler trasformare i chioschi di giornali in piccoli mini-market, facendo venir meno la loro peculiarità della divulgazione dell’informazione a mezzo carta stampata e quindi di presidi della democrazia”. Nella stessa ottica, le associazioni considerano invece positivo l’ampliamento delle entrate per mezzo di servizi collegati a una “funzione di utilità pubblica”, a cominciare dal rilascio di certificati anagrafici, informazioni o altri documenti. A questa filosofia si ispira l’edicola mobile Quisco, nata a Milano per servire le zone rimaste orfane di rivenditori. Spiegando il suo progetto, il fondatore Andrea Carbini ha detto: “Amo il mondo della carta. Non è facile, i margini di guadagno sono stretti, ma c’è tanta innovazione in quello che sto facendo, senza che l’edicola sia un bazar”.

benefici e concessioni

Nel frattempo, i sindacati hanno ottenuto alcuni successi per compensare i minori guadagni: benefici fiscali, azzeramento o riduzione delle concessioni comunali, contributi a fondo perduto. I piani sono diversificati per territorio, ma hanno dato un po’ di ossigeno. La filiera, inoltre, ha appena stilato un documento per partecipare alla distribuzione del PNRR. “Quello a cui stiamo lavorando adesso -ha scritto il segretario Sinagi Giuseppe Marchica- è rendere i vari bonus e i crediti d’imposta stabili nel tempo, allargando ulteriormente la platea dei beneficiari, in modo che tutti abbiano certezze su quello che c’è a disposizione.  Bisogna smetterla di dire che le edicole sono fondamentali e bisogna cominciare a fare veramente qualcosa sul piano contrattuale”. In particolare, il segretario sta lottando per un massiccio programma di fondi statali e per l’aumento dell’aggio sui beni collaterali come figurine e giocattoli. Ma è difficile dire fino a quando questi palliativi riusciranno a salvare il settore.

Lo stesso sindacato sta vivendo sulla sua pelle la crisi della carta. Sinagi cura da tempo un bimestrale dal titolo Nuove dall’edicola. Il mese scorso Marchica ha annunciato che d’ora in poi sarà disponibile solo la versione online. “Purtroppo i dati di vendita, o meglio, i giornalai che decidono di tenere il giornale e non metterlo in resa dopo averlo letto, sono del tutto insufficienti a coprire i costi. Il venduto copre a stento, e nemmeno del tutto, il costo della distribuzione”. Un paradosso che spiega da solo la gravità della situazione.

(nella foto, un’edicola del gruppo Quotidiana)

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