Lo share non deve essere un’ossessione. 

La Rai deve riconquistare i giovani.

E deve tornare sempre più al suo ruolo di servizio pubblico. Questo oggi significa anche alfabetizzare alle nuove tecnologie tutti quei settori della popolazione che ne sono esclusi per motivi economici, territoriali, anagrafici. Per questo, dal 25 febbraio, sarà affidato a Piero Angela “Prepararsi al futuro”, programma di educazione ai nuovi strumenti del lavoro e della comunicazione. L’aggiornamento di “Non è mai troppo tardi” del maestro Alberto Manzi, che negli anni ’60 dagli schermi tv insegnò l’italiano agli italiani.

Sono alcune delle linee che il nuovo amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, ha illustrato davanti alla Commissione parlamentare di vigilanza martedì 23 novembre. Quando ha presentato il nuovo assetto dell’Azienda, suddiviso non più per canali ma per generi (intrattenimento prime time e day time, cultura, documentari, fiction, cinema e serie, approfondimenti, kids, sport, contenuti digitali).

tutte le generazioni

Cominciamo dai giovani. “Occorre – ha detto Fuortes- aggiornare il servizio pubblico in modo che sia a beneficio di tutte le generazioni. Allargare l’offerta a ogni mezzo tecnologico a disposizione degli utenti. I cittadini che devono essere soddisfatti sono anche altri, oltre al pubblico adulto abituato a frequentare la tv lineare”. 

Secondo Fuortes, in 70 anni di vita la Rai è riuscita a tenere insieme cultura alta e cultura bassa, popolarità e qualità: in Europa non sono stati molti gli esempi analoghi. Non è accondiscendente, però, il giudizio sugli ultimi governi della Rai: “In non pochi casi, in questi anni, le Reti hanno prodotto programmi culturali, di intrattenimento, culturali, di approfondimento con obiettivi che forse si sono discostati dall’interesse generale, tipico del servizio pubblico. E’ mancata una vera strategia editoriale aziendale che definisse obiettivi, posizionamento, target di pubblico da coinvolgere”. 

canali multimediali

Ed ecco lo share: “Se acquisiamo tra i nostri valori e come obiettivo la coesione nazionale non possiamo non rilevare che oggi come oggi nel pubblico televisivo Rai la platea di persone adulte e anziane costituisce la stragrande maggioranza. Sappiamo che i giovani tendono a non guardare la tv, che usufruiscono attraverso canali multimediali dei prodotti ai quali sono interessati. In linea teorica noi potremmo aumentare lo share eppure diminuire nel pubblico le classi più giovani coinvolte. Ciò sarebbe un peggioramento del servizio pubblico, non un miglioramento. Qualunque ragionevole e proficua innovazione di linguaggio e di prodotto adatto a ringiovanire il pubblico non può trovare spazio se non si cambiano le regole e non si aggiornano i criteri ai quali assegnare il meritato valore”.

Fuortes non si disinteressa delle percentuali di ascolto, ma “per portare nella platea del servizio pubblico le nuove generazioni, lo share non va inteso come una tagliola che uccide ogni innovazione. Immaginiamo invece una trasmissione che ottenga la metà dello share medio della rete sulla quale va in onda, ma che questa quota sia composta quasi esclusivamente da giovani. Rappresenterebbe un grande risultato. Seguendo i criteri correnti, quella trasmissione andrebbe chiusa”.

fuori dalla rivoluzione

C’è quindi il capitolo della potenzialità della Rai per far crescere la conoscenza. “Possiamo pensare che la Rai non sia chiamata per quanto le compete a contribuire a questo impulso? Viviamo nel Paese dell’Unione Europea con il tasso più alto di giovani tra i 15 e 19 anni che non risultano impegnati nello studio o nel lavoro. Possiamo noi, tutti, non sentire la responsabilità di fare la nostra parte per superare questa condizione? Possiamo credere che sia il caso di non riservare al più presto ogni sforzo per alfabetizzare verso le nuove tecnologie fasce della nostra popolazione che per motivi di reddito, per posizione geografica, per età, rischiano di essere fuori dalla rivoluzione tecnologica?”.

Sostiene Fuortes che “la Rai abbia interpretato con grande efficacia in passato, fin dagli anni Cinquanta durante la ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra, il proprio ruolo, e penso che abbia continuato a interpretarlo nei decenni successivi. Adesso siamo noi a essere chiamati a prove nuove prove. La Rai e l’informazione pubblica hanno tra i propri compiti quello di illuminare la strada delle sfide del nostro tempo. Sfide che investono la vita, il lavoro o la mancanza di lavoro, l’ambiente, i modi di essere in rapporto con gli altri. Nell’attuale straordinaria frammentazione di offerta globale e multipiattaforma è forse più necessario che mai un nuovo Servizio pubblico che rappresenti il nostro Paese e i valori della nostra collettività, in modo consistente e inclusivo. Tutt’altra cosa dalle televisioni commerciali o dai grandi player multimediali internazionali”. 

Conclusione: “E’ assolutamente indispensabile, è una rilevante questione nazionale, creare le condizioni che consentano a Rai di svolgere nei prossimi anni una funzione di fornitrice di conoscenza, informazioni, cultura – e, naturalmente, anche svago – tale da risultare in armonia con un’Italia proiettata verso due nuove transizioni, quella digitale e quella ecologica”.

Professione Reporter

(nella foto, Carlo Fuortes)

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