di ROBERTO SEGHETTI
Mancano pochi giorni alla scadenza prevista per il commissariamento dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti italiani. Scadenza fissata per il 1° luglio e più volte già rinviata, in attesa (finora vana) di una soluzione per i problemi di sbilancio dell’istituto. L’Inpgi incassa ogni anno per i contributi dei giornalisti attivi 328,075 milioni di euro (consuntivo 2020), ma ne spende 545,6 per le pensioni in essere, con un forte saldo negativo.
Molte volte è stato lanciato l’allarme, ricordando che il patrimonio è sufficiente per reggere questa situazione per pochi anni. Precedenti governi hanno varato norme per fronteggiare questa situazione precaria, prevedendo il commissariamento se non si risolvesse il problema e predisponendo un piano per trasferire all’Inpgi l’area dei comunicatori, che dovrebbero così portare i loro contributi all’istituto dei giornalisti. Con un costo per lo Stato (rimborso all’Inps dei contributi eventualmente persi) pari a 150 milioni l’anno.
garanzia dello Stato
Dubbi sono sorti sull’efficacia di questa eventuale iniziativa, dato che con tutta probabilità non risolverebbe il problema alla radice, rinviando solo di qualche anno l’intervento risolutivo, fermo restando che non è detto che poi volontariamente i comunicatori accetterebbero di passare all’Inpgi.
In molti hanno anche cominciato a ventilare la possibilità di offrire la garanzia dello Stato all’Inpgi, unico istituto interamente sostitutivo della previdenza pubblica; cosa che, in ultima analisi, a parte alcune stravaganti interpretazioni, significherebbe il passaggio della categoria all’Inps.
mezzo miliardo di euro
La verità è che nulla è accaduto, con un aggravamento della situazione, mentre gli organi dirigenti dell’Inpgi hanno riaffermato la volontà di applicare alcune riforme che ridurrebbero l’esposizione nel caso si procedesse con l’ingresso dei comunicatori. Hanno inoltre denunciato il peso sull’Istituto per oltre mezzo miliardo di euro negli ultimi anni: per essere stato interamente sostitutivo dell’Assicurazione generale obbligatoria sull’assistenza: cassa integrazione, contratti di solidarietà, trattamento di disoccupazione; e per la necessità di reggere la mancanza dei contributi versati da giornalisti prepensionati e l’esborso agli stessi delle nuove pensioni.
Che cosa accadrà, dunque? Il governo e in particolare il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, avranno il coraggio di prendere il toro per le corna o si limiteranno ancora una volta a prendere tempo?
emendamento al decreto
Ecco, l’unica cosa certa in questo momento, a pochi giorni dalla scadenza rinviata più volte, è che un emendamento è stato presentato all’ultimo decreto del governo: prevede l’ennesimo rinvio del commissariamento. Filippo Sensi, presentatore dell’emendamento, ne ha offerto una spiegazione politicamente razionale: entro l’autunno il governo deve presentare la riforma degli ammortizzatori sociali. Sarebbe quella la giusta cornice in cui collocare l’eventuale intervento per affrontare i problemi dell’Inpgi. A questo servirebbe il rinvio.
Tuttavia, come dice il detto, le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Qualunque sia la soluzione che si pensa di adottare, in ogni caso sarebbe ora che il governo non si nascondesse dietro un dito. Anche se si tratta di un problema complesso, dalle implicazioni non solo economiche (autonomia e libertà di stampa non sono elementi senza connessione con la sicurezza economica dei giornalisti) e forse anche fastidioso per la “potenza di voce e di visibilità” degli iscritti dell’Inpgi, ebbene è ora che si smetta di accantonare questo tema.
Se non ci sono altre soluzioni, si commissari l’Inpgi e lo si passi all’Inps. Se ci sono altre soluzioni, ben vengano, le si varino subito. Hic Rhodus hic salta.