A che punto è il giornalismo politico italiano?

“L’anno più brutto della storia della Repubblica ha portato il giornalismo più brutto -dice Alessio Falconio, direttore di Radio Radicale- Abbiamo raccontato una situazione di guerra con i bollettini ufficiali”.

I problemi di fondo appaiono due. 

Il primo si annida nei talk show, dove -parole di Fabio Martini, della Stampa, “i giornalisti politici sbandierano e urlano a favore di una parte in gioco”. 

Il secondo riguarda la carta stampata, dove le presunte notizie sono fornite precotte dalle parti politiche.

Il punto è stato fatto nel webinar organizzato il 16 marzo dall’Associazione Stampa Romana. Introdotto dal segretario Lazzaro Pappagallo e coordinato da Vanna Palumbo, ufficio stampa Cgil e consigliera Fnsi.

urlare e sbraitare

A proposito dei talk show, Martini ha descritto la partecipazione di “giornalisti trasformati in tifosi”: “Gli spettatori non attendono notizie dai giornalisti, se diventa una regola (con numerose eccezioni) urlare e sbraitare”. Si tratta, spiega Martini, di uno snaturamento della professione, di una delegittimazione; ma è tradizione storica italiana uno stretto rapporto fra giornalisti e potere (politico, economico, culturale, sportivo), con l’indipendenza considerata una sorta di ingenuità. 

Non è tutto. Martini ha segnalato la forte presenza degli agenti di spettacolo nella scelta degli ospiti dei Talk show. Agenti che hanno sotto contratto molti giornalisti. Nell’ignoranza degli spettatori, “si assiste così a falsi battibecchi fra cavallini della stessa scuderia”. Di conseguenza: “Spetterebbe all’Ordine far prevalere la trasparenza”. Visto che il 16 marzo è la tragica data del rapimento di Moro, il webinar è iniziato riproducendo una tribuna politica con il presidente Dc e Martini ha ricordato che “in quelle tribune politiche degli anni ’70 i giornalisti facevano domande e i telespettatori ignoravano le opinioni politiche dei giornalisti”.

Alessio Falconio ha aggiunto: “Capita ai giornalisti di essere invitati in tv per ‘interpretare’ una parte politica: ‘Vieni e fai quello di sinistra’. L’informazione è schiacciata fra la comunicazione dei politici e lo show. Ma vedo, verso sera, anche grandi firme che scrivono sui social dichiarazioni molto hard, per finire sui giornali o essere chiamati nei talk”.

E Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2 ha ricordato che “in molti talk show la funzione giornalistica è svolta da non giornalisti, che così non sono tenuti a rispettare la deontologia professionale”. 

mancati racconti

Veniamo ai giornali di carta. “Ci sono molti mancati racconti -ha detto Susanna Turco dell’Espresso- Conferenze stampa che non sono più conferenze stampa. Interviste con domande scritte e risposte scritte, dilaganti. Retroscena basati sempre più su racconti mediati”. Una delle grandi cause è l’inaccessibilità, in questo periodo, di alcuni luoghi di incontro fra politici e giornalisti, prima di tutti il Transatlantico di Montecitorio. “In questo periodo, per il lockdown e per la presenza diffusa dei social, perde valore la velocità e acquista rilievo la capacità di approfondire”. Giovanni Innamorati, Ansa, si è definito “operaio della notizia”, che porta notizie ai colleghi, “prodotti semilavorati”. E ha messo attenzione su tre cose: i luoghi chiusi che impediscono rapporti diretti con le fonti; le dirette Facebook dei politici, che vengono registrate dalle agenzie, senza possibilità di fare domande, senza intervento neanche sulle false affermazioni; le chat governate dagli uffici stampa delle istituzioni, dei partiti o dei politici, “vere e proprie veline serali, che si ritengono sufficienti, anche per pigrizia”. Ben diverso -ha testimoniato Innamorati- è il lavoro sulle commissioni, sull’iter delle leggi, che comporta competenze, studio e relazioni collaudate.

Ci sono modi per reagire. Alessio Falconio ha raccontato del collega che, non potendo stare in Transatlantico, staziona in un bar di prossimità, per incontrare i politici che passano. Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, cerca di stampare la politica delle scelte concrete: “Ho vietato titoli con virgolette in prima pagina. Per eliminare slogan e annunci”. Paola Zanca, capo del Politico al Fatto Quotidiano: “Da noi abbiamo abolito le interviste con domande e risposte scritte”. Giovanna Vitale, Repubblica, però ha spiegato: “Se il direttore chiede l’intervista a un politico e il politico chiede domande scritte e chiede di rileggere l’intervista, non siamo in condizione di dire no”. Cioé: le regole vanno impostate dall’alto. “Non diamo troppe colpe al Covid -ha detto Vitale- Molte regole del buon giornalismo erano saltate già prima”.

Professione Reporter

(nella foto, Fabio Martini)

1 commento

  1. anche nelle tribune politiche degli anni ’70 si sapevano le opinioni politiche dei giornalisti che partecipavano, anche quando non si conosceva il giornalista bastava sentire la testata che rappresentava per capirlo

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