di VITTORIO ROIDI

Bavaglio al Presidente degli Stati Uniti: non si può che chiamare così quello che è successo negli Usa, durante lo scrutinio dei voti elettorali. Donald Trump tuonava dal suo palco, urlava che aveva già vinto, annunciava ricorsi, insinuava che gli americani non avrebbero accettato un verdetto contrario. Di fronte a tanta violenza verbale, alcune televisioni hanno deciso di spegnere i microfoni, mentre sugli schermi di altre è stato corretto e contraddetto. Cosa era giusto e cosa sbagliato?

Ciascuno risponda, ma oggettivamente la constatazione è una: alcuni giornalisti (e le loro imprese editoriali) hanno attuato il diritto a non trasmettere parole incendiarie, in un momento così delicato per la democrazia, di non fare da megafono mai, a nessuno, neanche al presidente degli Usa. Il “bavaglio” a Trump somiglia al comportamento che in passato (anche in Italia) i giornalisti hanno opposto ai messaggi dei terroristi e dei criminali, che era giusto ostacolare con qualsiasi mezzo.

non era mai successo

Mai gli americani si erano trovati in una condizione simile, con un presidente arrogante e protervo, che sbraita, pretende di interrompere lo spoglio delle schede e minaccia di infiammare le piazze, già pattugliate da uomini armati di fucini mitragliatori.

La domanda più utile è invece un’altra: possono i giornalisti zittire e correggere perfino l’uomo che riveste la più alta carica delle istituzioni? La risposta è sicuramente affermativa e sta nella Costituzione, nelle leggi, nella concezione che la collettività delle donne e degli uomini dell’esercizio del potere e del ruolo dell’informazione.

Le democrazie – come ci ha insegnato Montesquieu – poggiano sull’equilibrio fra i poteri, che si bilanciano e si controllano fra loro. Negli Usa come altrove. Saranno gli altri poteri, le Camere elette dal popolo e i giudici a fermare gli eccessi del Capo, anche nelle repubbliche presidenziali. E i giornalisti? Alcuni invocano per costoro un Quarto potere. Ma è sbagliato. Lo Stato funziona bene, se funziona, per mezzo dei suoi tre poteri, non ne serve un altro. Quanto ai giornalisti, è ormai diffusa – anche se non scritta – la concezione che ad essi spetti il controllo su ciò che i poteri fanno. Avvisano i cittadini, indagano, segnalano gli abusi e contribuiscono con la propria attività a fare in modo che perfino che un presidente possa essere messo sotto accusa. Gli americani lo definiscono “cane da guardia”, che abbaia, incalza e in qualche caso smaschera. Ne sa qualcosa Nixon e non solo lui. Anche con Trump i più grandi organi di stampa non sono stati teneri, perfino quelli che gli erano stati all’inizio favorevoli. Se dice una bufala lo fanno rilevare, gli tolgono da sotto la bocca il microfono (Berlusconi, certo era proprietario dei suoi!). Il Washington Post ha calcolato che solo nel suo primo anno di mandato Donald Trump, che utilizza di continuo Twitter, aveva diffuso oltre 2000 fake news. I giornalisti lavorano affinché emerga la verità.

preoccupante e triste

In Italia? Qui la Costituzione prevede che i giudici possano mettere sotto accusa chiunque ed è successo. Certo, nessun giornalista ha mai contraddetto in pubblico il Presidente della Repubblica anche perché per fortuna nessun presidente ha assunto atteggiamenti simili a quelli del miliardario americano, che si comporta ogni giorno di più come un dittatore, invece che come capo di una democrazia.

Chi intende riflettere su quanto è accaduto non dimentichi poi che in America si sta votando, cioè si vive il momento più prezioso della vita democratica. Trump è uno dei due candidati, più che il Presidente, e in attesa dell’esito del voto dovrebbe rispettare sia le leggi sia l’avversario. Cosa avrebbero fatto i giornalisti francesi o inglesi se Macron o Johnson avessero imitato Trump? E cosa avrebbero fatto i giornalisti italiani? E magari la Rai, che è, in pratica, statale: avrebbero interrotto il discorso minaccioso del candidato presidente? Difficile rispondere. 

E’ triste e preoccupante assistere a tutto ciò in un paese che pretende di essere la più grande democrazia del mondo, ma il cui Presidente la scredita e la danneggia, attraverso microfoni e telecamere che non sono suoi e che devono servire per informare correttamente i cittadini. A me sembra importante che i giornalisti sappiano combattere la disinformazione, dovunque, anche davanti al capo della nazione più potente del mondo. Ovviamente è un’opinione e ne leggerò volentieri altre.

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