di ANDREA GARIBALDI

Crisi risolta in cinque giorni, a Domani. Luigi Zanda lascia la presidenza della Società editrice, Antonio Campo Dall’Orto prende il suo posto. Lascia un uomo della Prima Repubblica, arriva un innovatore di professione, che conosce le nuove tecnologie e anche il mondo giovanile.

Campo Dall’Orto, 56 anni, è stato direttore generale della Rai, nominato dal governo Renzi dall’agosto 2015 al giugno 2017. Prima promotore di Mtv, direttore a La7, vicepresidente di Viacom International Media Network. Alla Rai l’esperienza è finita in modo traumatico, senza che Dall’Orto abbia potuto lasciare un segno. La caduta di Renzi dopo poco significò la sua caduta. Ora affiancherà il direttore Stefano Feltri per rilanciare Domani, che non ha ancora trovato una sua strada sicura. Campo Dall’Orto in Rai chiamò al suo fianco Carlo Verdelli come Direttore editoriale per l’offera informativa. Verdelli si dimise sei mesi prima di Campo Dall’Orto, in seguito alla bocciatura del suo piano di riforma per l’informazione”. Verdelli è stato poi direttore di Repubblica, allontanato dal nuovo proprietario John Elkann. A causa anche di quella rimozione Carlo De Benedetti coltivò il progetto di Domani.

A Domani, l’abbandono di Luigi Zanda il 28 ottobre è stato il primo scossone appena un mese e mezzo dopo la nascita. La notizia è stata anticipata dal Foglio. Motivo: un conflitto di interessi fra il suo ruolo di senatore Pd e la linea del giornale, lontana dalla sinistra (e troppo dura col governo in carica).

Zanda era stato scelto da De Benedetti, in nome della stima e di un’antica amicizia, per guidare l’azienda. E anche per eventualmente succedergli. Zanda ha 78 anni e De Benedetti 86.

Negli ultimi tempi Domani ha accresciuto la critica al Pd e in particolare al governo Conte. Articoli ripetuti sui favori della ministra dei Trasporti De Micheli alla famiglia Benetton nella trattativa su Autostrade, articoli sui megastipendi a Invitalia del commissario di governo Arcuri. Articoli su Zingaretti e il caos tamponi nella Regione Lazio. Eccetera. Zanda si è sentito sempre più a disagio, più in disaccordo con il direttore Stefano Feltri. Ne ha parlato con il fondatore, che non lo ha rassicurato. Non ha affondato (per ora)  Feltri.

appeal giornalistico

De Benedetti non è convinto su come è uscito Domani in questo primo mese, ma soprattutto per ragioni “tecniche”, per l’insufficiente appeal giornalistico. Sulla linea politica, invece, ha meno da ridire: in fondo un giornale che attacca, che ha un nemico, è meglio, da un punto di vista dei ricavi e delle vendite, di uno che fiancheggia il potere politico. Inoltre fra i concorrenti diretti (cioè quelli che non sono nell’area di destra), Il Fatto è molto vicino al governo e Repubblica ondeggia. All’ingegnere piace la battaglia, gli piace essere “contro”.

Insomma, De Benedetti dà ancora chances a Feltri e non sconfessa la linea aggressiva sul Conte-bis. Zanda ha avvertito la sua difficoltà personale di notabile Pd, ha cominciato a diradare la presenza nella sua stanza al fianco della redazione in via Barberini e, alla fine, ha consegnato le dimissioni. De Benedetti ha capito le ragioni e ha accettato con molto dispiacere, perché l’affetto fra i due è profondo.

In una lettera ai componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale Zanda scrive: “Cari amici, queste prime settimane mi hanno permesso di constatare che la posizione di Presidente del Consiglio di amministrazione è, in molte circostanze, non compatibile con la funzione di senatore del Partito Democratico e del centrosinistra italiano. In una parola, ho compreso di trovarmi in una posizione di conflitto di interessi politico-editoriale che, per mio costume e per mia profonda convinzione, non posso sottovalutare. Con grande rammarico sono costretto a comunicarvi d’aver deciso di dimettermi da Presidente e da consigliere di Domani, alla cui nascita ho, assieme a voi, partecipato con molta intensità e alla cui ideazione da parte dell’ingegner Carlo De Benedetti ho dato tutto il contributo di idee che potevo. A voi i miei saluti più cordiali e a Domani auguri sinceri di successo”.

preparazione economica

Domani ha suscitato molte perplessità nei suoi primi 40 numeri. Identità poco netta, lettura faticosa, titoli e grafica non brillanti, poche differenze fra l’edizione cartacea e quella online. Le notizie che ha dato, finora, hanno suscitato poco rumore e poco seguito.

Domani, nelle dichiarazioni dell’estate dei promotori, avrebbe dovuto occupare lo spazio liberal-democratico, azionista e di sinistra, lasciato libero da Repubblica, dopo l’acquisto del quotidiano fondato da Scalfari da parte di John Elkann con la sua Gedi e dopo la nomina del direttore Maurizio Molinari. E questo non è propriamente accaduto. Anzi.

Feltri ha dichiarato due settimane fa a Professione Reporter che le vendite sarebbero attestate su 14mila copie al giorno di media più 7/8 mila abbonamenti digitali. “Dobbiamo diventare più grintosi”, ha detto.

Anche il fondatore De Benedetti, viene considerato non contento della creatura, che aveva immaginato in altro modo: più in grado di insidiare Repubblica su alcuni temi, come i diritti civili, il welfare, una società con più uguaglianza. De Benedetti, soprattutto, vorrebbe un giornale più rilevante nella vita del Paese.

Il fondatore ha scelto personalmente il direttore Feltri, 36 anni, già vice direttore del Fatto, poi direttore del sito ProMarket.org creato dallo Stigler Center, il centro di ricerca guidato dal professor Luigi Zingales nell’università di Chicago. Un giornalista molto giovane per fare il direttore, preparato dal punto di vista economico, serio e rigoroso. Gli ha affiancato 15 giornalisti pescati fra i migliori nelle redazioni del Fatto, dell’Espresso, del Foglio, del Manifesto. Una redazione esile rispetto alla corazzata Repubblica.

Anche Zanda era stato scelto personalmente da De Benedetti. Fra i suoi tantissimi incarichi, è stato consigliere del Gruppo l’Espresso, amministratore delegato dell’Agenzia per il Giubileo 2000, portavoce di Francesco Cossiga presidente del Consiglio e poi capogruppo del Pd al Senato e tesoriere del partito.

(nella foto, Antonio Campo Dall’Orto)

2 Commenti

  1. Luigi Zanda ha fatto l’unica cosa giusta: rinunciare alla presidenza del Domani per non apparire un renziano qualsiasi, di lotta e di governo purché si resti a galla. Un giornale che ricorda l’Indipendente delle origini e che, adesso come allora ,non ha senso in quanto politicamente e editorialmente inutile. Senza anima. Oggi mancano un grande giornale e una televisione di sinistra in grado di stravolgere la scaletta che ci viene propinata quotidianamente dai fogli di lor signori, come direbbe Fortebraccio. Più socialismo e meno mercato contravvenendo al totem delle ideologie tramontate, questa sì sarebbe la vera novità con il contributo di tutti coloro che pensano diversamente dalla Bocconi o dalla Luiss in economia, che bocciano i Cottarelli e i Boeri come le vestali del cambiamento, che rilanciano la socialdemocrazia come modello europeo da esportare anche di fronte al dramma mondiale della pandemia, che si battono perché le reti infrastrutturali tornino allo Stato dopo le scorrerie finanziarie dei privati, che rispondano per le rime alla Confindustria che ha un presidente senza industria, che credono nella battaglia per i diritti di chi lavora per ridare decenza all’esistenza , in una politica “verde” in grado di rimodellare alcune scelte di una industrializzazione balorda. E si potrebbe riempire un libro sugli argomenti da affrontare e che avrebbero una indubbia originalità e conseguente interesse. Purtroppo all’orizzonte non si vede nessun Mattei o Caracciolo che ebbero in tempi diversi la sensibilità di esplorare, con le loro iniziative vie anticonformiste sulle quali , tra l’altro, emerse e si consolidò una classe giornalistica di grande spessore per impegno e cultura. Oggi lor signori, quelli che restano, sono incartapecoriti nei loro miliardi e i figli non sono da meno, tutti concentrati solo a non intaccare le rendite ereditate.

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