di ALBERTO FERRIGOLO

Non è solo la vicenda della chiusura delle tipografie di Mantova e Roma del Gruppo Gedi, dove si stampano la Repubblica, La Stampa e una decina o più di testate locali ad allarmare i sindacati. È, semmai, la tendenza alla progressiva “esternalizzazione della produzione”, come si dice con brutto ma esemplificativo neologismo. Interessa anche La Sicilia di Mario Ciancio Sanfilippo, La Gazzetta del Mezzogiorno, che ha appena trovato un nuovo proprietario. Se ne discute sommessamente a Il Sole 24 Ore, anche se non c’è ancora nulla di ufficiale. 

Certo, la chiusura di due centri stampa significativi del Gruppo Gedi come Roma e Mantova fa più scalpore. Perché lì si concentra la produzione di un numero considerevole di quotidiani. “Ma questa è soltanto una conseguenza della riorganizzazione delle grandi aziende editoriali e delle relative testate giornalistiche, delle grandi case editrici”, osserva Giulia Guida, della segreteria nazionale della Slc Cgil, il sindacato del lavoratori della comunicazione.

punta dell’iceberg

Sono lontani i tempi in cui i giornali puntavano alla autonomia produttiva, correvano a costruirsi ciascuno il proprio centro stampa per sé, così da essere, nel caso, punto d’appoggio o riferimento per la teletrasmissione delle pagine di qualche testata concorrente. Ora il lavoro di stampa lo si vuole dar “fuori”, appaltare “a terzi”.  E si dismettono tout court i macchinari, le tipografie. Punto e a capo. Effetto della crisi dell’editoria, della minore diffusione, della riduzione delle tirature e, quel che conta, soprattutto delle vendite e degli introiti pubblicitari. “La vicenda del Gruppo Gedi da questo punto di vista è solo la punta dell’iceberg – annota Guida – ma da questo caso emerge anche l’aspetto di quanto forte sia la deregulation nel settore dell’informazione, in particolare nei poligrafici”. 

“Avere ciascuna testata il proprio centro stampa – analizza la sindacalista – è stato per decenni un valore, una mission, un obiettivo, quasi una forma di identità culturale delle imprese editoriali”. Ora non più. “Anche se sono almeno dieci anni che la crisi è strisciante, e alla crisi si risponde tagliando, lavoro, salari, compensi. Dismettendo la carta e puntando a potenziare il digitale, l’informazione dal supporto immateriale ma multipiattaforma, distribuita su più canali e device”. “E sono ormai tantissime le testate giornalistiche che stanno portando a termine questo processo di affidare ‘in conto terzi’ il processo di stampa”, racconta ancora Giulia Guida. 

estinzione possibile

Del resto i numeri parlano da sé. Nel 1990, cioè vent’anni fa, i poligrafici erano 12.497, divisi tra 5.900 operai e 6.557 impiegati (fonte Fieg), contrattualizzati come tali, mentre “oggi sono al di sotto dei 2 mila”, calcola la segretaria Slc Cgil. Con il rischio concreto che i prepensionamenti ridurranno ulteriormente la platea. “Ne resteranno pochissimi, perché coinvolti nelle tante crisi aziendali disseminate lungo la dorsale del Paese”. Un bollettino di guerra, con la possibilità dell’estinzione di una categoria, già via via assottigliatasi a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. 

Lo stato dell’arte lo descrive in maniera efficace Pietro Gaviano, un lavoratore poligrafico della rsu della Nuova Sardegna, che poco più di un anno fa nel corso degli Stati Generali dell’Editoria, ha raccontato: “Sono arrivato giovanissimo, avevo 19 anni. Nell’85, La Nuova Sardegna vendeva più di 70 mila copie,  e noi poligrafici eravamo in 110. Oggi il mio giornale vende 29 mila copie e siamo in 52. L’azienda in cui lavoro ha attivato gli ammortizzatori sociali. Noi siamo da quattro anni ‘in solidarietà’ e sono quasi terminati. Con questo trend di vendite,  con questo calo di pubblicità,  è chiaro che non sappiamo cosa l’azienda voglia fare nel prossimo futuro da ora a fine anno. Io non so se aprirà le procedure di licenziamento, che cosa succederà. È chiaro che dopo 35 anni di lavoro non avere più un futuro, sapere che per continuare a lavorare dovrei varcare i confini della nella mia isola è veramente difficile. Noi capiamo, siamo vicini all’azienda, stiamo anche cercando altre forme di collaborazione, cioè toglierci una piccola parte di stipendio, però non basta. Vi chiediamo come lavoratori un aiuto per trovare soluzioni. La legge 416 è un aiuto che ci può permettere di arrivare alla pensione, ecco questo sì”. 

i nodi e le crisi

“Noi ci appelliamo alla responsabilità sociale delle imprese”, dice Giulia Guida, “perché non possiamo pensare di dover affrontare i nodi sempre con le crisi. C’è il prepensionamento fortunatamente in questo settore e c’è anche l’accesso possibile per quei dipendenti di imprese editoriali in crisi con soli 35 anni di contributi, almeno fino al 2023. Anche se oggi la scelta di andare in pensione anticipata in una famiglia non è affatto facile a farsi…”. Poi la segretaria Slc Cgil aggiunge: “La giustificazione di queste crisi industriali in genere ci viene presentata come una difficoltà ad essere competitivi sul mercato: i centri stampa così come sono stati pensati, a partire proprio dagli investimenti tecnologici, sono stati calibrati su una diffusione dei quotidiani estremamente elevata, mentre i nuovi soggetti ‘terzi’ di oggi sono stampatori che fanno esclusivamente questo tipo di attività con un investimento tecnologico in macchinari tarato su un minor numero di copie diffuse”. 

Quindi Guida affronta un altro punto: “Se la scelta è quella di rendere più efficiente e meno dispendioso il processo, non è che si può abdicare alla responsabilità sociale delle aziende, venire meno al rispetto del contratto nazionale o delle qualità dei prodotti editoriali che si realizzano. Spesso i contratti di riferimento non vengono rispettati, si instaurano ambigui rapporti diretti con i lavoratori finendo complessivamente con lo svendere il lavoro e scaricando la presunta competizione di mercato esclusivamente sul costo del lavoro”. 

trasparenza e qualità

Altro tema, quello del digitale e della digitalizzazione dell’informazione. “C’è una contraddizione di fondo – annota Guida –  perché proprio nell’era della pandemia abbiamo assistito ad una ripresa del ruolo dell’informazione, ma al tempo stesso si sente parlare di ‘infodemia’, cioè della circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile potersi orientare su un determinato argomento. Ma al tempo stesso c’è l’esigenza di un’informazione di qualità, trasparente. Il che significa fare anche una scelta editoriale che non sia di contrapposizione tra il sistema cartaceo e quello digitale, due facce di una stessa realtà che dovranno convivere”. 

Poi Guida avanza una critica agli editori: “La scelta originaria dell’informazione digitale è stata quella di renderla gratuita, ciò che ha diseducato il pubblico, non più disposto a pagare per i contenuti, e ha portato ad una continua forma di distorsione delle informazioni, delle news. Tanto che anche la Ue è scesa in campo chiedendo  più regole, come anche la vicenda del copyright dimostra. C’è solo da augurarsi che vada a buon fine entro dicembre. Così, forse, saremo il secondo paese europeo ad avere una normativa europea all’altezza delle esigenze”. Se gli editori cosiddetti puri non esistono più, il governo che fa, batte un colpo? “Il governo, grazie anche al sottosegretario Martella, in questi lunghi mesi di crisi ha disposto una grande quantità di risorse importanti per il sostegno del presente e anche del futuro di questo settore, tenendo dentro attraverso i crediti d’imposta anche il sistema cartaceo, tenendo aperte le stesse edicole, favorendo il credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari”. Insomma, “il governo per ora ha fatto bene, ma dovrà attrezzarsi a sostenere il settore anche attraverso l’uso delle risorse europee, incentivando le stesse case editrici a investire sulle nuove tecnologie per stampare, anche nel tentativo di riportare all’interno una fetta della produzione che ora viene esternalizzata”, consiglia Giulia Guida.

Però, per ora, il giocattolo di tipografie e centri stampa si è rotto e gli editori non vogliono giocare più.  

(nella foto, Giulia Guida)

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