di VITTORIO ROIDI

Una città e due giornali, in concorrenza fra loro. La riflessione sembra inevitabile, alla luce delle ultime notizie: nella capitale, Repubblica tenta di scardinare il primato del vecchio Messaggero e va all’attacco proprio mentre il quotidiano di Caltagirone, leader da decenni, sembra non reagire con decisione.

Maurizio Molinari, nuovo direttore del giornale che Scalfari aveva immaginato come quotidiano nazionale, afferma ora che Repubblica “appartiene sempre più alla città… dove da oltre 44 anni ha la sua sede”. E porta i suoi caporedattori a riunirsi, al mattino, nei luoghi più significativi di Roma: prima al museo delle Scuderie del Quirinale, poi sul palcoscenico del teatro dell’Opera, la terza volta allo Spallanzani, l’ospedale che tutti gli italiani hanno conosciuto avamposto della lotta al Covid 19, “trincea di una battaglia collettiva”, come è stato spiegato quella mattina nella Cronaca locale. Strizza l’occhio ai romani, Molinari? Ha sferrato l’attacco rivendicando la leadership nella città? Qualche segnale c’è.

La sede del giornale di Caltagirone è chiusa. Non era mai successo. I cittadini che passano da via del Tritone restano stupiti davanti al portone sbarrato. Il vecchio palazzo liberty, icona dell’informazione nella capitale, riaprirà a settembre. Colpa del Covid, ma qualcuno sussurra che il proprietario voglia venderlo. Si attendono smentite, ma intanto arriva la notizia che lo stesso Caltagirone ha disdetto i contratti di affitto delle sue sedi regionali: Latina, Viterbo, Rieti, Frosinone, Pescara, Perugia. Brutta storia. Sarà colpa dello smart working, ma fa impressione vedere sbarrato l’amico dei lettori, il cane da guardia, il giornale delle mille battaglie (le borgate, il Tevere, il piano regolatore, l’Appia Antica, il traffico, i parcheggi)! Certo il giornale è in edicola, ma che strada ha imboccato? Va bene la sicurezza, ma come risponde agli attacchi?

uffici regionali addio

Il nuovo direttore di Repubblica, giornale politico e progressista, afferma che ormai non ci sono più differenze fra destra e sinistra e poiché sa che Roma ha un forte elettorato moderato (alcuni leggono il Corriere, mentre i più a destra preferiscono il Tempo, anche se al giornale di piazza Colonna sono rimaste poche migliaia di copie) e perciò gioca a tutto campo, in un’area metropolitana enorme, cercando di sottrarre al Messaggero quel blasone di “giornale della città”, conquistato in tanti anni di cronaca e di impegno, su Roma e per Roma. Era un giornale interregionale, con forti presenze nelle altre province del Lazio, e in Umbria, e in Abruzzo: come può pensare di chiudere quelle sedi! Proprio ora che, dallo Spallanzani, preso a simbolo della città, Molinari afferma di voler testimoniare e dimostrare “quanto siano profonde le radici di Repubblica nelle zolle della Città Eterna”.

E come si spiega che il Messaggero è assente in tante edicole fuori zona? Un tempo l’azienda faceva di tutto per capire dove i romani andavano in vacanza, e portare loro il quotidiano. Oggi molti lettori si lamentano che nei luoghi di villeggiatura non lo trovano. Disattenzione, inefficienza, mentre la redazione appare stremata e ai collaboratori esterni sono stati imposti penosi tagli (che il nuovo direttore Martinelli ha avallato) sui già miseri compensi. A Napoli, Caltagirone ha già fatto soldi con la vendita del palazzo dove stava la redazione del Mattino, in via Chiatamone. Proprio come aveva fatto la vecchia proprietà del Corriere, a Milano, vendendo l’edificio di via Solferino, che ora Urbano Cairo tenta di riprendersi. Ci pensi, il grande costruttore: cancellare i simboli è pericoloso. Se l’insegna del Messaggero si spegnesse all’angolo del Tritone e tornasse, magari, quella dell’hotel Select, i romani potrebbero pensare che la battaglia lui non la vuole neppur combattere.

errore in Romagna

Il direttore di Repubblica fa le sue mosse. E’ stato a lungo a New York e ha visto che gli editori americani negli ultimi anni hanno puntato molto sulle grandi città. Sa che l’editore del New York Times non spegnerebbe mai l’insegna sul palazzo a due passi da Times Square. 

Il Messaggero ha sempre venduto sul proprio territorio l’80 per cento delle copie uscite dalla rotativa di via Urbana. Il nuovo direttore potrebbe andarsi a rileggere il supplemento dei “Quartieri”, lanciato da Vittorio Emiliani nel 1985. Quello che la famiglia Ferruzzi chiuse subito, decisa a ad aprire sette nuove sedi in Romagna. Un errore catastrofico: milioni e milioni buttati, che costarono 25 posti di lavoro (i primi prepensionamenti nella storia gloriosa del Messaggero!). Raul Gardini e Carlo Sama, pur grandi imprenditori, sbagliarono tutto, ignorarono il carattere territoriale del quotidiano e dimostrarono di essere pessimi editori.

I giornali hanno le radici e sono quelle che danno frutti. I lettori vogliono il “proprio giornale”, guai a dimenticarlo. Dubbi provocati dal Covid 19 e del caldo torrido che annebbia la testa? Forse. Staremo a vedere dove Molinari porterà la prossima volta il suo staff, in attesa delle inchieste che non mancherà di decidere sui “mali di Roma” . E seguiremo come, sull’altro fronte, risponderà Martinelli. Nel suo discorso di insediamento ha proposto un giornale con “meno Mes e più cronaca”. Con Mes intendeva la finanza europea, ovviamente. Poi chissà, magari ha un jolly in tasca e si appresta a portarlo a via del Tritone. Ammesso che alla riapertura il vecchio giornale abiti ancora lì.

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