I primi frutti del Premio “Giornalismo a testa alta”, dedicato alla memoria del reporter e inviato di guerra Mimmo Càndito, scomparso il 3 marzo 2018, sono due lavori: uno già svolto, uno ancora da effettuare. Oltre alla sezione Opere, infatti, il Premio ha voluto aiutare concretamente la realizzazione di un réportage giornalistico, con la sezione “Progetti”.

In entrambi i casi si tratta di viaggi tra dati e documenti, analisi politiche e testimonianze, ma soprattutto tra volti e storie. Un giornalismo basato sull’indipendenza nella ricostruzione e nella rappresentazione dei fatti, per interpretarli e collocarli nel loro contesto storico, geografico e culturale. Un giornalismo che affianca agli algoritmi di Google il compito di verificare di persona la notizia. 

Il Premio si è completamente autofinanziato, attraverso un crowdfunding online, al quale hanno partecipato colleghi e amici di Càndito e anche lettori che hanno apprezzato negli anni i suoi réportage e i libri.

La Giuria – composta dalle giornaliste Marina Verna ed Emmanuela Banfo, e dallo storico e docente Alessandro Triulzi – ha dovuto scegliere tra le trenta candidature ricevute (metà donne, metà uomini, dai 56 ai 26 anni). La preselezione ha selezionato due cinquine di ottimo livello. Tra i partecipanti ci sono giornalisti affermati della carta stampata, tv e web, e giovani alle seconde armi, freelance e articolo 1. Il premio è promosso dall’Associazione Mimmo Càndito, presieduta dalla giornalista della Stampa Marinella Venegoni.

Per la categoria Opere il Premio va a “L’epopea dei migranti centroamericani al tempo di Trump” di Simona Carnino. Pubblicata su “Missioni Consolata”, l’indagine affronta le sfaccettature del fenomeno migratorio nel Centro America con rigore di analisi, completezza nella raccolta dei dati e diversificazione delle fonti. L’autrice racconta storie senza retorica o spettacolarizzazione, sperimenta in prima persona ciò di cui scrive. La narrazione è il risultato di un lavoro antecedente di studio e approfondimento del tema.

Per la categoria Progetti il Premio è assegnato a “Da braccianti a operai per il mercato globale. Il nuovo proletariato etiope del polo industriale di Mekelle” di Marco Benedettelli, per originalità, coinvolgimento diretto e conoscenza dell’area. L’inchiesta verte su un tema per lo più ignoto al grande pubblico, ma di grande portata per il continente africano, la crescita di una nuova classe operaia in un Paese che esce da un ventennio di guerra con la confinante Eritrea e che mantiene affollati campi profughi, e una popolazione in fuga dall’economia contadina. La regione del Tigray, nel nord, appare come un’area di interesse strategico sia per la comprensione del faticoso processo di industrializzazione in atto, sia per il modello economico del governo regionale, basato sulla produzione di beni a basso costo per l’estero. Due banchi di prova importanti per le promesse di “Rinascimento africano” nel più importante Stato-nazione dell’Africa Orientale. 

Per la sezione Opere si sono distinti altri quattro lavori.

Laura Battaglia con “Yemen, un paradiso in polvere” offre uno sguardo privilegiato su una delle peggiori crisi del pianeta. Il colloquio con le popolazioni di Mocha e Hodeida è diretto e fa emergere i dettagli più crudi e tutto l’orrore della guerra.

Daniele Bellocchio. “Il Ciad, in fuga da Boko Haram”, narra una periferia estrema del paese, lontano dalle battaglie di Mosul e Raqqa. Se ne leggono i disastri attraverso le voci delle vittime, i sopravvissuti, i profughi in fuga sulle sponde del lago Ciad, i soldati male equipaggiati che devono affrontare i jihadisti. 

L’inchiesta di Nello Scavo, “Libia, tra segreti di Stato e accordi indicibili”, condotta da passione e indignazione, porta alla luce i compromessi fra l’Italia e la Libia, cercando di scoperchiare la “versione ufficiale”.

“Venne alla spiaggia un assassino” è il libro di Elena Stancanelli, che racconta la propria partecipazione alla spedizione di una Ong italiana. Un diario di bordo, dal quale emergono disagi e pericoli delle tragedie che quotidianamente si consumano nel Mediterraneo.

Per la sezione Progetti, la rosa era composta da altri quattro lavori.

 

Viola Hajagos, in “Centroamerica e diritto di aborto”, parte dal tema dell’aborto per analizzare l’estremo disagio femminile dell’area. Il valore del progetto è nella pluralità delle fonti: interviste alle protagoniste, analisi dei dati, valutazione dell’informazione locale.

“I gecekondu di Istanbul” di Francesco Pasta, propone di analizzare le trasformazioni urbane in corso in alcuni gecekondu, i quartieri più poveri di Istanbul, esaminandone i risvolti sociali e politici nella Turchia di Erdogan.

“Oltre il confine: migranti attraverso il Marocco” di Roberto Persia, Maged Srour e Giovanni Culmone. Cosa succeda davvero agli immigrati che passano dal Marocco è un mistero. L’Europa firma accordi e trasferisce fondi pur di non vedere. La proposta pone buone premesse per scoprire verità scomode non solo per i governi sovranità.

Sara Tonini in “Il ruolo di internet nella resistenza palestinese”, scrive: “Il progetto si propone di rappresentare la resistenza palestinese di oggi perché, più di altre, parte da un presupposto fondamentale per ogni sviluppo democratico: l’informazione”. Il ruolo giocato dai social media rappresenta un punto di vista originale e prezioso sul conflitto arabo-israeliano.

(nella foto, a sinistra, Mimmo Càndito, in Iraq nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York))

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